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Aña Maria de Jesus Ribeiro
© Salvo Andrea Figura –2010
Lucio Righi, ruvido e muscoloso bagnino di Rimini, nato ad Argenta, una quarantina di chilometri a Nord Ovest, nella valle del Comacchio, stava sulla torretta di legno rosso come tutti i giorni. Giugno e Luglio erano trascorsi indenni al Lido “Onde di Sangiovese” e l’inizio d’Agosto, si era già al pomeriggio del 4, non prometteva sfracelli. Oddio… gli unici li combinava lui, grande tombeur de femmes di silfidi Britanniche in caccia del maschio latino e di stangone tedesche in cerca del liebe italiano; quello che le faceva letteralmente sciogliere come sorbetti al sole.
Erano questi i suoi pensieri quotidiani su cui si rodeva e crogiolava al caldo sole di Romagna. E fu quello, che credé di vedere baluginare tra le onde piatte di quel meriggio: un sole rosso che si tuffava lento nell’acqua. Si tuffava e riemergeva, dentro e fuori e… «Quello non può essere il sole – disse a voce alta gettando via la Marlboro appena accesa – il sole entra in acqua e basta!».
Non si scompose. «Accidenti alla fretta, potevo gustarmi la sigaretta oramai», prese il binocolo che inerte e annoiato come lui, ciondolava dal chiodo lungo, mise a fuoco e vide che quello che un attimo prima gli era parso un sole, adesso era un brillante, una pietra preziosa, un rubino di dimensioni mai viste.
E il gioiello entrava e usciva dall’acqua, lento come… un lento di Frank Sinatra. Quel prezioso era attaccato a un dito. Adesso, riconoscere che dito fosse, da quella distanza, anche con l’ausilio di un binocolo… ci sarebbe voluto il “Gino Pollice” del Giallo che stava leggendo.
Quasi controvoglia prese la sua tavoletta d’emergenza da cui pendeva, come la coda di un setter, una bella cima di circa dieci metri, saltò giù dalla torretta, per far prima e iniziò a correre verso il bagnasciuga.
«Maledetta anguria – smoccolava mentre il sopraffiato gli prendeva il cuore – e maledetto il tiramisù della Graziella. Ma con cosa l’ha fatto, con latte di balena da quanto pesa nello stomaco?».
Continuò a correre ché l’acqua gli arrivava ancora ai polpacci, senza perdere di vista quel segnale: l’anello rosso che era a pelo d’acqua, quasi galleggiasse come un sughero.
Finalmente si poté tuffare e il suo elemento naturale, come ad un delfino, lo fece andare velocissimo. Una ventina di bracciate mentre i piedi 45 frustavano l’acqua, come le eliche dell’Andrea Doria, e fu a ridosso del suo bersaglio. Afferrò quella mano inanellata e nessun cenno di vita si propagò al suo braccio teso e muscoloso. Rigirò il volto di quel corpo di donna che aveva tirato su e lo colpirono da subito due grandi occhi neri semiaperti e non del tutto spenti e una lunga chioma unta e riccioluta. Poggiò delicatamente quel capo sulla tavola, traendola così fuori dall’acqua e iniziò il viaggio di ritorno verso la riva.
Il sole adesso si era abbassato sull’orizzonte ma non accennava ancora a volgersi al tramonto. Mancavano venti minuti alle diciannove, calcolò che avesse ancora almeno un’ora di sole. Lo colpì però il deserto che stava per trovare in spiaggia. Tutti i bagnanti, centinaia, forse migliaia, che fino a un attimo prima avevano affollato il lido, adesso erano spariti e con loro sedie ed ombrelloni.
La spiaggia aveva assunto l’aspetto di una caletta selvaggia, liscia e ondulata senza traccia alcuna di impronte umane sull’arena, tranne quelle del suo piede 45. Riuscì appena a intravvedere allontanarsi quelle belle chiappe della Lorena, che col suo costume brasiliano fucsia aveva magnetizzato la spiaggia intera, ché subito sparirono dietro gli eucalipto che costeggiavano la spiaggia.
Trascinò agevolmente a riva la donna tratta in salvo e si fermò un attimo a prender fiato.
Quella donna non era morta, come temeva dal momento in cui l’aveva avvicinata, e un filo di respiro faceva ancora sollevare il suo petto dai seni robusti e sodi. All’apparenza poteva avere appena ventotto-trenta anni. Era vestita in un modo strano… pareva una hippie degli anni settanta. Sopra portava una casacchina color corda cotta, al collo un fazzoletto di panama rossa come quello degli Scout e la gonna, ampia, era di lino trasparente, bianco ma macchiato di sangue e fango. Un leggero gonfiore al basso ventre attirò la sua attenzione. Pareva quello di una donna in gravidanza. Era appena accennato ma lui non era un medico e non si sentì di verificare; per quello che avrebbe potuto capirne.
Ai fianchi, una cintura di stoffa grezza teneva legato un cilindro, lungo una trentina di centimetri Era molto vecchio e pieno di graffi; fatto di cuoio, cerato e poi ingrassato perché resistesse all’acqua. Sembrava un unico blocco e in cima, il coperchio era incollato al resto del tubo con un cercine di ceralacca così da garantirne la chiusura ermetica.
Osservò ancora la donna; per un momento s’era dimenticato che era un bagnino e che il suo principale scopo doveva essere la salvaguardia della vita di quella poverina. Si chinò accostando il suo, al bel volto dell’annegata e richiamò alla memoria la sequenza delle manovre di rianimazione. Respiro e polso carotideo c’erano. Non c’era però lo stato di coscienza. Si voltò per ordinare a qualcuno dei presenti di chiamare il 118 ma si accorse che era solo, terribilmente solo.
Per la seconda volta sembrò dimentico del suo mestiere. ‘In fondo la donna respirava da sola – pensò – si sarebbe ripresa presto. Chissà cosa contiene il cilindro’.
Tirò fuori dallo zainetto dell’emergenza che portava a tracolla, un coltello subacqueo e fece saltare la ceralacca. Guardò nel foro come fosse il cannocchiale di un antico corsaro e vide occhieggiare un foglio di carta giallina, come l’antica carta paglia, arrotolato intorno a un altro foglietto più piccolo. Questo si rivelò subito come la mappa di un luogo che subito non riconobbe; quello più grande, invece, una volta srotolato mise in mostra una bella ma veloce scrittura eseguita con inchiostro nero ancora intatto. L’acqua non era penetrata nella custodia.
Si guardò intorno alla ricerca di presenze non gradite. Si sentiva un ladro nel frugare quelle cose non sue; prese a leggere: “ 2 Agosto del ’49. Peppino carissimo, stammi bene.
Il latore della presente è persona a me di grandissima fiducia e affidabilità, dunque ti prego di avere riguardo per lei come massimamente di più non potresti. Come di certo saprai Roma è caduta, nonostante la strenua resistenza di Villa Corsini e solo fortunosamente siamo riusciti a sfuggire alla caccia dei Francesi. Siamo però, viceversa, braccati dagli Austriaci al comando del feldmaresciallo d’Aspre ed è una caccia all’uomo non meno dura. Nello sfondo nebuloso si intravvedono belve fameliche sottoforma d’Austriaci, inseguenti la preda. La buona Romagna per fortuna è stata di cuore e animo nobile, come i suoi abitanti e così attraverso le paludi di Comacchio ci muoviamo come bisce d’acqua: sfuggenti, viscide, rapide. Di casolare in casolare, di villa in villa, non trovo che applausi...
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