

Aña Maria de Jesus Ribeiro© Salvo Andrea Figura –2010
SECONDA PARTE
"Di casolare in casolare, di villa in villa, non trovo che applausi e strette di mano, mentre alle mie spalle e spesso anche in fronte, sono altre le strette che si vorrebbero avere per lo mio collo e per quello de’ miei seguaci. Abbiamo dovuto abbandonare le nostre belle camicie che tanto lustro ci diedero dalla Sicilia a Roma e giriamo vestiti come i camperos argentini ch’io ben conosco. Il buon Giambattista, e Nino sono le mie ombre e i miei guardaspalle e vieppiù lo è “Leggero” e “Tetavac” ed “Erma Bianca” che sono le nostre guide in queste valli e paludi, infide ma che finora ci han protetto le vite. Per non dire della cara Aña che cavalca sempre al mio fianco, quando non è troppo stanca per via della sua gravidanza, e che spesso va in avanscoperta alla caccia di vedette Austriache, forte della sua incredibile bravura di cavallerizza. Ti scrivo dal podere Zanetto ove la signora Teresa e il consorte Antonio(taccio di proposito i cognomi per loro maggior sicurtà) ci hanno dato asilo e cibo, per quel poco che possono. La laguna per fortuna provvede di suo al nostro sostentamento. Così gamberi, pesci e volatili sembra facciano a gara per essere mangiati da noi. Sai bene che sono quasi ateo o comunque anticlericale ma credo che Quella che Manzoni chiama Divina Provvidenza, ci stia aiutando. E’ da dodici giorni che abbiamo combinato la trafila e sfuggiamo a tre nemici terribili e spietati;la polizia papalina, i bastard Francesi e gli aguzzini Austriaci. Ho accompagnato a questa mia, una mappa

col nostro percorso, quello già fatto. Per quello futuro non ti scrivo nulla ad onta di tradirmi ma vorrei raggiungere Rimini. Da lì un barcaiolo detto “Gerusalemme” insieme a “Sgiorz” ci porteranno fino a Venezia che resiste ancora con la sua Repubblica di San Marco, ultima roccaforte, all’assalto dello straniero e lì ricongiungermi con te. Il mio sogno di vedere la terra d’Italia libera da ogni usurpatore e da un Papa che non vuole una libera Chiesa in libero Stato mentre tiene il suolo Patrio sotto il tacco arcigno del potere temporale, temo che possa affondare lentamente come un sasso in codeste paludi torbide e melmose. Non le zanzare ma i proiettili nemici adesso sono i nostri bubboni. Bello sarebbe se alcuni dei tuoi eroi della “Giovine Italia”, ci venissero incontro ben oltre i confini del Granducato di Toscana e oltre Forlì. E di ciò ti scongiuro di adoprarti a che tu provveda prima del nostro accerchiamento finale e fatale.
Il grosso rubino che vedrai all’anulare del latore della presente, rappresenta il massimo valore di scambio su cui io possa contare. Finora non si è reso necessario impegnarlo, ma qualora servisse, saprai cosa e come fare. Pur se rappresenta per lei e per me la più bella e grande promessa d’Amore stipulata in Uruguay, quando riempii questo gioiello di un’eterna promessa di fedeltà,non esiterei pur tuttavia a barattarlo con la libertà della mia terra”.
Il bagnino leggeva, sempre più preso, quelle righe che parevano sgorgare da un altro luogo e da un altro tempo. Ebbe quasi la sensazione d’essere proiettato, in quei luoghi e in quelle circostanze. Guardava la mappa e iniziava solo ora, a riconoscere quei luoghi; gli stessi in cui era cresciuto lui, da bambino: le valli del Comacchio.
“Pippo carissimo – riprese la lettera – qualora il messaggero dovesse cadere nelle mani del nemico, noi non avremmo via di scampo e finiremmo i nostri giorni tra le torture inflitteci dagli Austriaci o affogati in queste paludi. Prego Dio dunque che in qualsivoglia modo, questa missiva ti giunga per mano della mia piccola, amatissima Anita.
Tuo devot.mo
Giuseppe G.”

Il bagnino finì di leggere e si voltò a guardare quella donna; gli occhi pieni di lacrime, lui, un omaccione di quasi due metri, piangeva per una storia d’amore e di guerra, di fughe e sofferenze inenarrabili, appena in tempo per sentirle sussurrare:«Il messaggio del mio Josè… il messaggio del mio Josè…».
Poi quella donna misteriosa chiuse gli occhi e non li riaprì più, Il suo cuore si era fermato e con esso il respiro. Lucio cercò di sollevarle il capo e solo allora si accorse di un bubbone esangue, bluastro con del sangue raggrumato intorno e dilavato dall’acqua di mare. Sporgeva subito sotto la clavicola destra ed era di consistenza dura pareva piombo; era piombo. Ne riconobbe allora la natura, era la palla di uno schioppo come quello che aveva il suo bisnonno su ad Argenta per cacciare le volpi. Cosa ci faceva la palla di un moschetto ad avancarica nella spalla di quella donna. Le prese la mano guarnita dal rubino, fece per sollevarla ma, ancora bagnata, le si sfilò l’anello che gli rimase tra le dita. Lo mise allora contro il disco del sole che era ormai basso all’orizzonte. Il suo orologio segnava le 19,30. Ammirò di nuovo quel rosso fiammato del rubino, un vero sangue di piccione purissimo… e vide a quel punto un luccichio lontano, metallico e insieme con esso udì lo scalpiccio violento di decine di zoccoli sul bagnasciuga. Cinque o sei cavalieri muovevano al galoppo verso di lui, le spade sguainate e sollevate.
Mano a mano che si avvicinavano veloci, poteva distinguerne le sagome e i vestiti. Indossavano delle camicie rosso fiamma, rese ancora più brillanti dal sole. Le loro ombre proiettate in avanti dal sole ormai giunto sul filo dei monti, gli giunsero addosso di colpo. Si sentiva buffo, inginocchiato sulla rena, accanto al cadavere di una sconosciuta, mentre teneva in una mano i due fogli dei messaggi appena letti e nell’altra un anello con un grosso rubino.
Fu un attimo; a braccia aperte, come il fantoccio della Giostra della Quintana,

si vide portar via dalla sciabola del primo cavaliere, che li aveva infilzati entrambi, i due fogli e dal secondo, in punta di sciabola, l’anello.
Rimase a mani vuote e il terrore lo assalì appena vide il terzo cavaliere, che gli incombeva oramai sulla testa, manovrare la sua sciabola e rigirala di punta. Chiuse d’istinto gli occhi e attese di essere infilato dalla lama. Gli giunse invece un fortissimo colpo con l’elsa, giusto in fronte. Si fece buio nella sua mente.
«E allora Lucio Righi… sempre a fantasticare mi stai, benedetto d’un ragazzo. Cosa sogni adesso?»
Maria Teresa Zanetto Menotti, maestra in Argenta, aveva ripreso il piccolo alunno, perso dietro ai suoi pensieri.
«Dai vieni alla lavagna che parliamo un po’ di storia - gli disse mentre un raggio di sole filtrava dalla tenda della finestra dell’aula Va - parliamo un pochino di Giuseppe Garibaldi».

Il ragazzino si alzò un po’ contrariato per aver interrotto il suo sogno ad occhi aperti e si avviò alla cattedra. Iniziò a parlare prima ancora d’essere giunto alla sua meta:«Giuseppe Garibaldi nacque a… »,
«No Lucio – lo interruppe, mentre il sole faceva brillare il rubino sangue di piccione che la maestra portava all’anulare – raccontami della fuga di Garibaldi per le valli di Comacchio».
«Giuseppe Garibaldi fece quella che venne chiamata la trafila tra le paludi di Comacchio e fu solamente grazie all’impresa eroica di sua moglie Anita, se riuscì a salvarsi. La donna infatti riuscì a consegnare un messaggio di richiesta di aiuto del Generale, indirizzato a Giuseppe Mazzini, a dei cavalieri e patrioti romagnoli. Erano le 19,30 del 4 Agosto 1849. La donna era stata ferita gravemente e…


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