legofemì: 30 ottobre nasce il blog
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LE VIE DEL BUIO per l'horror
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04
nov
2010

Il fantasma di Bianca cessò di urlare “Quand’era possibile venivo qua, per incontrarlo. Mi diceva che avrebbe trovato il modo per rimanere insieme, per sempre. Così iniziò la ricerca dell’eterna giovinezza, ma fallì. Da troppo tempo lo sto aspettando, qui, a Castel del Monte; testimone della nostra unione, invano”. Bianca continuava a trasmettermi tutto il suo martirio, quanto doveva aver sofferto nascondendo la loro relazione al resto del mondo. Potevo sentire ogni emozione, ogni sensazione, e questo mi spaventava, ma mi dava il coraggio per dirle “Bianca, hai dovuto portare un pesante fardello da sola, adesso ... l’hai condiviso con me. L’eternità non è nel prolungamento della vita terrena ma ciò che ci spetta dopo la morte”.
Sul volto di Bianca si dipinse un sorriso. Come quando, dopo un temporale, un timido raggio di sole attraversava le nubi nere per tornare a risplendere. La donna si scostò d’un tratto “ho udito il mio nome” e scomparve ancora una volta.
Quel rincorrere uno spirito mi stava facendo perdere la ragione. Mi ritrovai a vagare tra quelle mura, chiamandola più volte “Ecco! Sono impazzita” dissi a me stessa raggiungendo il cortile per respirare un po’ d’aria. Mi sentii sfiorare i capelli, e vidi Bianca passarmi accanto. “Dove correva?” mi chiesi, prima di vedere le sue braccia cingere la vita del suo amato. Il grande Imperatore Federico II era lì, al centro del cortile, allungava una mano verso lei.
“Quanto ti ho aspettato amore mio” le disse “dov’eri?”
“Mio Re” rispose Bianca emozionata “non riuscivo a trovarti.”
La felicità che provai vedendoli insieme non poteva essere descritta con nessuna parola. Una luce calda avvolse i due innamorati che si tenevano per mano. Una nuova vita li attendeva. Diversa da quella vissuta, eterna come il loro amore.
“Delia!” Ines mi scuoteva con foga, era fuori di sé. “Oh grazie al cielo, grazie al cielo!” ripeteva. Mi alzai intontita. La Professoressa Martini sventolava il coupon illustrativo e tremava. Pallida in volto quasi fosse sul punto di svenire.
“Come ti senti?” mi chiese il Professor Vitali che riusciva a mantenere una calma quasi agghiacciante.
“Bene … perché?” dissi una piccola bugia.
“Perché?” ribatté Ines “ti sembra normale bloccarti tutto ad un tratto e fissare nel vuoto?”
“Sembravi in trance, poi sei svenuta” aggiunse Licia “il Professor Vitali ha consigliato di non muoverti.”
“Per quanto tempo?” le chiesi.
“Cinque minuti.”
“Coraggio” disse il Professore “te la senti di camminare?”
Sospirai, sfogliando le pagine di quel tomo. Erano almeno mille e più leggevo più battevo la penna in continuazione. La Professoressa Martini aveva assegnato un tema sul Risorgimento Italiano, da esso dipendeva il sufficiente per non lasciare la materia.
“Mi perdoni, gentil donzella” disse una voce ma, alzando la testa dal libro credei di essermi sbagliata. Nella biblioteca a parte me, c’erano soltanto due persone applicate nella lettura. Dovevo aver sentito male, forse era colpa della stanchezza, tornai a concentrarmi.
Un respiro affannato proveniva accanto a me. Con movimento lento del capo mi voltai. Un uomo dalla folta barba mi fissava. Indossava una giacca molto aderente in vita, e pantaloni che si restringevano sulla caviglia grazie a quattro bottoncini. Giocherellava con un bastone di legno dal pomello d’oro. Lo ignorai tornando a leggere.
“Ho visto che può sentirmi” mi disse.
“E no!” urlai a voce alta “Di nuovo no!”
“Schh!” fui sgridata dai presenti “Signorina non si urla in una biblioteca, non lo sa?”
Mi risedetti composta, sperando che quell’uomo fosse scomparso. Per mia sfortuna era ancora lì. Se quello doveva essere il mio destino, non ne sarei stata la vittima ma lo avrei stravolto a mio vantaggio. “Sa’ qualcosa sul Risorgimento Italiano?”
L’uomo scoppiò a ridere “Mia cara, mai sentito parlare della Giovine Italia?”
“Romano Delia, è un piacere” dissi.
“Giuseppe Mazzini, il piacere è mio.”
Dopo due giorni consegnai il compito alla Professoressa Martini, inutile dirvi il voto.
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03
nov
2010


Aña Maria de Jesus Ribeiro© Salvo Andrea Figura –2010
SECONDA PARTE
"Di casolare in casolare, di villa in villa, non trovo che applausi e strette di mano, mentre alle mie spalle e spesso anche in fronte, sono altre le strette che si vorrebbero avere per lo mio collo e per quello de’ miei seguaci. Abbiamo dovuto abbandonare le nostre belle camicie che tanto lustro ci diedero dalla Sicilia a Roma e giriamo vestiti come i camperos argentini ch’io ben conosco. Il buon Giambattista, e Nino sono le mie ombre e i miei guardaspalle e vieppiù lo è “Leggero” e “Tetavac” ed “Erma Bianca” che sono le nostre guide in queste valli e paludi, infide ma che finora ci han protetto le vite. Per non dire della cara Aña che cavalca sempre al mio fianco, quando non è troppo stanca per via della sua gravidanza, e che spesso va in avanscoperta alla caccia di vedette Austriache, forte della sua incredibile bravura di cavallerizza. Ti scrivo dal podere Zanetto ove la signora Teresa e il consorte Antonio(taccio di proposito i cognomi per loro maggior sicurtà) ci hanno dato asilo e cibo, per quel poco che possono. La laguna per fortuna provvede di suo al nostro sostentamento. Così gamberi, pesci e volatili sembra facciano a gara per essere mangiati da noi. Sai bene che sono quasi ateo o comunque anticlericale ma credo che Quella che Manzoni chiama Divina Provvidenza, ci stia aiutando. E’ da dodici giorni che abbiamo combinato la trafila e sfuggiamo a tre nemici terribili e spietati;la polizia papalina, i bastard Francesi e gli aguzzini Austriaci. Ho accompagnato a questa mia, una mappa

col nostro percorso, quello già fatto. Per quello futuro non ti scrivo nulla ad onta di tradirmi ma vorrei raggiungere Rimini. Da lì un barcaiolo detto “Gerusalemme” insieme a “Sgiorz” ci porteranno fino a Venezia che resiste ancora con la sua Repubblica di San Marco, ultima roccaforte, all’assalto dello straniero e lì ricongiungermi con te. Il mio sogno di vedere la terra d’Italia libera da ogni usurpatore e da un Papa che non vuole una libera Chiesa in libero Stato mentre tiene il suolo Patrio sotto il tacco arcigno del potere temporale, temo che possa affondare lentamente come un sasso in codeste paludi torbide e melmose. Non le zanzare ma i proiettili nemici adesso sono i nostri bubboni. Bello sarebbe se alcuni dei tuoi eroi della “Giovine Italia”, ci venissero incontro ben oltre i confini del Granducato di Toscana e oltre Forlì. E di ciò ti scongiuro di adoprarti a che tu provveda prima del nostro accerchiamento finale e fatale.
Il grosso rubino che vedrai all’anulare del latore della presente, rappresenta il massimo valore di scambio su cui io possa contare. Finora non si è reso necessario impegnarlo, ma qualora servisse, saprai cosa e come fare. Pur se rappresenta per lei e per me la più bella e grande promessa d’Amore stipulata in Uruguay, quando riempii questo gioiello di un’eterna promessa di fedeltà,non esiterei pur tuttavia a barattarlo con la libertà della mia terra”.
Il bagnino leggeva, sempre più preso, quelle righe che parevano sgorgare da un altro luogo e da un altro tempo. Ebbe quasi la sensazione d’essere proiettato, in quei luoghi e in quelle circostanze. Guardava la mappa e iniziava solo ora, a riconoscere quei luoghi; gli stessi in cui era cresciuto lui, da bambino: le valli del Comacchio.
“Pippo carissimo – riprese la lettera – qualora il messaggero dovesse cadere nelle mani del nemico, noi non avremmo via di scampo e finiremmo i nostri giorni tra le torture inflitteci dagli Austriaci o affogati in queste paludi. Prego Dio dunque che in qualsivoglia modo, questa missiva ti giunga per mano della mia piccola, amatissima Anita.
Tuo devot.mo
Giuseppe G.”

Il bagnino finì di leggere e si voltò a guardare quella donna; gli occhi pieni di lacrime, lui, un omaccione di quasi due metri, piangeva per una storia d’amore e di guerra, di fughe e sofferenze inenarrabili, appena in tempo per sentirle sussurrare:«Il messaggio del mio Josè… il messaggio del mio Josè…».
Poi quella donna misteriosa chiuse gli occhi e non li riaprì più, Il suo cuore si era fermato e con esso il respiro. Lucio cercò di sollevarle il capo e solo allora si accorse di un bubbone esangue, bluastro con del sangue raggrumato intorno e dilavato dall’acqua di mare. Sporgeva subito sotto la clavicola destra ed era di consistenza dura pareva piombo; era piombo. Ne riconobbe allora la natura, era la palla di uno schioppo come quello che aveva il suo bisnonno su ad Argenta per cacciare le volpi. Cosa ci faceva la palla di un moschetto ad avancarica nella spalla di quella donna. Le prese la mano guarnita dal rubino, fece per sollevarla ma, ancora bagnata, le si sfilò l’anello che gli rimase tra le dita. Lo mise allora contro il disco del sole che era ormai basso all’orizzonte. Il suo orologio segnava le 19,30. Ammirò di nuovo quel rosso fiammato del rubino, un vero sangue di piccione purissimo… e vide a quel punto un luccichio lontano, metallico e insieme con esso udì lo scalpiccio violento di decine di zoccoli sul bagnasciuga. Cinque o sei cavalieri muovevano al galoppo verso di lui, le spade sguainate e sollevate.
Mano a mano che si avvicinavano veloci, poteva distinguerne le sagome e i vestiti. Indossavano delle camicie rosso fiamma, rese ancora più brillanti dal sole. Le loro ombre proiettate in avanti dal sole ormai giunto sul filo dei monti, gli giunsero addosso di colpo. Si sentiva buffo, inginocchiato sulla rena, accanto al cadavere di una sconosciuta, mentre teneva in una mano i due fogli dei messaggi appena letti e nell’altra un anello con un grosso rubino.
Fu un attimo; a braccia aperte, come il fantoccio della Giostra della Quintana,

si vide portar via dalla sciabola del primo cavaliere, che li aveva infilzati entrambi, i due fogli e dal secondo, in punta di sciabola, l’anello.
Rimase a mani vuote e il terrore lo assalì appena vide il terzo cavaliere, che gli incombeva oramai sulla testa, manovrare la sua sciabola e rigirala di punta. Chiuse d’istinto gli occhi e attese di essere infilato dalla lama. Gli giunse invece un fortissimo colpo con l’elsa, giusto in fronte. Si fece buio nella sua mente.
«E allora Lucio Righi… sempre a fantasticare mi stai, benedetto d’un ragazzo. Cosa sogni adesso?»
Maria Teresa Zanetto Menotti, maestra in Argenta, aveva ripreso il piccolo alunno, perso dietro ai suoi pensieri.
«Dai vieni alla lavagna che parliamo un po’ di storia - gli disse mentre un raggio di sole filtrava dalla tenda della finestra dell’aula Va - parliamo un pochino di Giuseppe Garibaldi».

Il ragazzino si alzò un po’ contrariato per aver interrotto il suo sogno ad occhi aperti e si avviò alla cattedra. Iniziò a parlare prima ancora d’essere giunto alla sua meta:«Giuseppe Garibaldi nacque a… »,
«No Lucio – lo interruppe, mentre il sole faceva brillare il rubino sangue di piccione che la maestra portava all’anulare – raccontami della fuga di Garibaldi per le valli di Comacchio».
«Giuseppe Garibaldi fece quella che venne chiamata la trafila tra le paludi di Comacchio e fu solamente grazie all’impresa eroica di sua moglie Anita, se riuscì a salvarsi. La donna infatti riuscì a consegnare un messaggio di richiesta di aiuto del Generale, indirizzato a Giuseppe Mazzini, a dei cavalieri e patrioti romagnoli. Erano le 19,30 del 4 Agosto 1849. La donna era stata ferita gravemente e…


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31
ott
2010
Emma – 2ª parte
(da “I racconti del Bagnino di Rimini”)
© Natale Figura
(da “I racconti del Bagnino di Rimini”)
© Natale Figura
Saverio cavalcava alla testa del secondo Squadrone Dragoni, fiero, con in mente gli ordini ricevuti: attaccare di concerto con il primo Squadrone scompaginando le difese della Fanteria nemica e portarsi poi sulla destra per consentire al terzo Squadrone di attraversare le linee nemiche già battute ed aprire quindi il fronte all’assalto dei Fanti.
Ma il cuore era altrove... Emma, solo lei nel suo cuore e il ricordo dell’unica folle notte d’amore che lo riempiva di dolcezza e gli straziava l’animo per l’immediato doloroso distacco.
La sua mente ragionava di guerra e di tattiche della prossima battaglia ma gli occhi vedevano ancora la sua piccola dolce sposa tendergli rattristata le braccia mentre lo salutava alla partenza. L’avrebbe atteso, certo... si erano ripromessi questo... con tutto l’amore che si erano dati l’un l’altra. Ma ora la guerra incalzava e lui era lì coi suoi Dragoni ad obbedire all’ordine del suo Re.
Ma il cuore era altrove... Emma, solo lei nel suo cuore e il ricordo dell’unica folle notte d’amore che lo riempiva di dolcezza e gli straziava l’animo per l’immediato doloroso distacco.
La sua mente ragionava di guerra e di tattiche della prossima battaglia ma gli occhi vedevano ancora la sua piccola dolce sposa tendergli rattristata le braccia mentre lo salutava alla partenza. L’avrebbe atteso, certo... si erano ripromessi questo... con tutto l’amore che si erano dati l’un l’altra. Ma ora la guerra incalzava e lui era lì coi suoi Dragoni ad obbedire all’ordine del suo Re.
I cavalli nitrivano e scalpitavano e il vapore del loro respiro affannato sbuffava dalle froge dilatate nella corsa della carica.
Il rombo degli zoccoli che percuotevano il terreno sovrastava le grida dei Cavalieri e il fragore della battaglia mentre le sciabole luccicavano al sole e sprizzavano scintille al cozzo con le baionette.
Si udivano in un gran miscuglio le urla dei Soldati nemici e gli spari e i lamenti dei feriti ed il passo di corsa dei Fanti che attaccavano e quello dei Fanti nemici che volgevano le terga disperdendosi laggiù ai limiti della piana.
Polvere, grida, frastuono, odore di sangue sparso nella terra, odore di polvere da sparo... questo soltanto si vedeva, si sentiva, si odorava nell’aria offuscata.
E poi, nel silenzio innaturale subentrato... solo i flebili lamenti dei corpi senza nome degli uni e degli altri sparpagliati in terra e dei cavalli in attesa del colpo di grazia si mescolavano al passo lento dei barellieri e al loro richiamo in cerca di qualcuno da portare in salvo.
Questa era la guerra vera... non quella che si giuocava sui tavoli nelle retrovie spostando sulle carte geografiche simulacri di Armate, Divisioni, Reggimenti. Questa era la guerra che si percepiva, si vedeva, si annusava, ti penetrava nelle ossa.
Lino era ferito gravemente al braccio destro ed era stato dispensato dal tornare in servizio attivo... anche il suo cavallo era stato ferito da colpi di baionetta ed era stato necessario abbatterlo. All’infermeria del campo un infermiere gli aveva confezionato una sollecita fasciatura e poi il Capitano medico gli aveva imposto una licenza per tornare a casa e tentare di guarire dalla ferita... un colpo di moschetto di un nemico ormai cadavere in mezzo a tanti altri. E così era tornato a casa.
Ecco la sua Rimini. Ecco la casa di suo padre. Ecco sua madre che gli correva incontro affannata. Ecco la servitù che gli si faceva intorno. Ecco sua sorella Emma, che lo guardava dal portone torcendosi le mani. Un solo sguardo... Emma si volse pallida ed entrò in casa senza parlare. La madre la seguì lesta.
Sul lungomare di Rimini, nel caldo pomeriggio di agosto, un sole vivido sfavillava sulle lente onde di un mare placido che si infrangevano dolcemente sul bagnasciuga.
Il Bagnino, un reduce di altre battaglie, aveva trascorso il tempo camminando avanti e indietro osservando i bagnanti.
Ora che il sole stava calando risentiva nelle ossa l’umidità crescente e la stanchezza di una giornata trascorsa in piedi.
Si sedette sul suo scranno soprelevato e assaporò il riposo. Fantasticava di quel periodo lontano, in cui aveva combattuto e di quando, tornato dal fronte aveva ritrovato la sua famiglia che l’attendeva.
Bei tempi quelli, era galvanizzato dall’aver vinto il nemico ed essere sopravvissuto, ma anche soddisfatto delle gioie familiari al ritorno.
E poi quel lavoro di Bagnino gli piaceva... sole, mare, bei ragazzi e ragazze, tanti bambini che giocavano sulla sabbia e gli sorridevano passandogli vicino.
Ma ora si sentiva stanco e voleva riposo.
Non se n’era accorto subito di quella ragazza biancovestita... con un velo altrettanto bianco che le copriva i capelli.
Una suffragetta, pensò adocchiandola, o una originale... di quelle che si vedono ogni tanto e si vestono e si comportano così soltanto per emergere nella massa, per farsi notare.
La guardò con sufficienza e tornò ai suoi pensieri.
L’aveva cancellata dalla sua mente.
Pochi, radi e lontani bagnanti... scrutò per l’ultima volta il mare e... la vide, laggiù, lontano.
Il Bagnino di Rimini la guardò a lungo... quella mano affusolata si agitava sempre più lentamente nell'acqua resa scura dalle alghe assassine. Si agitava piano e scendeva piano piano a fondo. La guardò di nuovo... non gli andava affatto di tuffarsi per salvare la ragazza, la cui mano ancora per poco si sarebbe erta laggiù sul pelo dell’acqua. Non avrebbe fatto in tempo e poi era davvero tanto stanco.
Ecco stava scomparendo quella mano e l’anello all’anulare mandò un ultimo bagliore rosso fuoco dall’enorme rubino che l’ornava.
Ecco stava scomparendo quella mano e l’anello all’anulare mandò un ultimo bagliore rosso fuoco dall’enorme rubino che l’ornava.
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