IL MIGLIORE AMICO…
di Francesco (Cecco) Martino
L’olosveglia, puntuale come tutte le mattine, diffonde nell’ambiente la mia melodia preferita mista ai profumi di un prato fiorito. Non c’è miglior risveglio di questo.
La soffusa penombra che mi avvolge rimbalza con sottili giochi di luce sui contorni dei mobili dell’arredo della mia camera da letto.
Giro lo sguardo verso la finestra per soffermarmi sulle sottili strisce di luce che attraversano le piccole fessure del pannello di chiusura che lascio sempre aperto per consolidata abitudine.
Per ancora qualche secondo resto fermo, immobile, disteso.
L’abitudinario girotondo dei pensieri del mattino apre la mia agenda mentale: cosa hai lasciato da fare ieri, cosa hai in programma per oggi, non dimenticarti di chiamare il collega d’ufficio e fargli gli auguri per il suo anniversario… ed alla fine del giro ecco arrivare la constatazione più piacevole: oggi è giorno di festa!
Un sorriso mi si stampa sulla faccia, cui segue una frase muta che rafforza il pensiero: ecco arrivato il giorno che mi piace di più.
Il passo che segue è quello di alzarsi per andare lentamente in cucina, molto lentamente, senza fretta per carità; oggi è giorno di festa, no?
Una volta varcata la soglia eccomi davanti al robodomestico che fa bella mostra di sé al centro della parete di fronte. Mi accosto alla striscia di comunicazione e ordino la colazione per poi, mentre la macchina prepara il tutto, spostarmi verso la portafinestra e uscire sul giardino.
La vista è ancora un po’ intorpidita e la vivida luce del giorno mi costringe a ripararmi istintivamente abbassando lo sguardo.
Pochi attimi sono però più che sufficienti perché mi abitui al rilucente chiarore del mattino, così da poter ammirare appieno, come ogni giorno, il panorama del familiare ambiente che mi circonda.
La strada che taglia in due le file di case ordinate e allineate, che si dilungano con piacevole simmetria fin dove giunge lo sguardo.
Pochi rumori stamattina e praticamente nessuno in giro: del resto è ancora un po’ presto. Poi di nuovo sorrido e mi ripeto ancora oggi è giorno di festa per tutti, perché correre ed affannarci come negli altri giorni?
Toh! Ecco là, in fondo al viale, sulla sinistra, un paio di abitazioni più avanti, un abitudinario meno pigro di me che di buona mattina inizia la sua passeggiata con passo accelerato con al seguito il suo fedele animale domestico.
Un cenno di saluto prontamente ricambiato mentre passa dinanzi al mio vialetto per poi proseguire con uguale andatura, con aria soddisfatta.
Questo mi ricorda che ancora non ho visto il mio di animale domestico e, mentre lo penso, ecco giungere un leggero sibilo dalla cucina a segnalarmi che la colazione è pronta.
Il tempo di fare un piccolo fischio di richiamo ed ecco che, dopo qualche attimo, arriva anche lui con quell’andatura un po’ strana, come per tutti quelli della sua specie, alla quale nessuno di noi ha ancora fatto l’abitudine, nonostante siano passati ormai diversi cicli temporali dal loro arrivo.
Del resto il ricordo dei nostri vecchi animali da compagnia che a causa di un virus erano prematuramente scomparsi è ancora troppo vivo e radicato nelle nostre menti.
Quel lungo periodo di assenza dalle nostre case, senza la possibilità di un rimpiazzo, non era stato certo dei migliori.
A quel tempo si fecero avanti le industrie robotiche con i loro surrogati avanzatissimi, ma sinceramente di quel tipo di aggeggi ne avevamo per ogni necessità giornaliera.
Per carità non è che di per sé non andassero bene, ma non potevano mai sostituirsi a un animale da compagnia. Lui ti dava quel qualcosa che nessuna macchina, per quanto ben programmata e avanzata, poteva duplicare.
Poi, inaspettatamente, arrivò quel giorno che ricolmò il vuoto che si era creato nelle nostre esistenze. Il giorno del ritorno della prima missione spaziale interplanetaria.
Quello che portarono era una scoperta che aveva dell’incredibile: l’ultimo esemplare sopravvissuto di un pia-neta morente, lontano centinaia di anni luce da noi.
L’esplorazione di quel mondo lontano dimostrò con la sua presenza di numerosi reperti archeologici che in epoche remote c’era stata una civiltà quasi simile alla nostra, che però sembrava non avere avuto il nostro stesso buon senso, ovvero sviluppare la sua tecnologia di pari passo con l’armonia tra i suoi abitanti. Infatti le ricerche condotte dall’equipe di scienziati al seguito della spedizione avevano dimostrato che si erano in pratica autodistrutti a seguito di un conflitto globale.
Ma non tutto era andato irrimediabilmente perduto.
Proprio nel corso dell’ultimo ciclo di prima esplorazione, la spedizione aveva scoperto, in un anfratto semisepolto tra delle aspre montagne, l’ingresso a una grande costruzione realizzata nel sottosuolo dove erano stivate decine di capsule criogeniche: tutte si rivelarono danneggiate e non funzionanti… tutte meno una!
All’interno di ciascuna furono rinvenuti i resti di materiale presumibilmente organico, mentre nell’unica intatta fu rinvenuto un essere in animazione sospesa che mostrava deboli segni vitali.
Il suo aspetto fisico non era certo dei migliori. Sul nostro pianeta lo avremmo paragonato ad una specie di scherzo della natura.
Va beh, pazienza!
Il Grande Bang, il creatore di ogni cosa, non poteva averci creato tutti tali e quali.
Quel che importava era che sul pianeta morto era rimasto un seme; un seme che aspettava solo di essere preso e ripiantato.
Le tecniche di clonazione dei nostri scienziati erano state in grado di riprodurre in serie la creatura anche se con un limite: non era in grado di autoriprodursi periodicamente come poteva fare ogni essere vivente del nostro mondo e non si era riusciti a trovare il modo di creare dentro di essa tale capacità.
Le ricerche più approfondite e la decodificazione di parte degli archivi realizzati nei successivi viaggi dagli archeobiologi sembravano, inoltre, indicare che in quel lontano pianeta le varie specie viventi fossero divise in due distinti gruppi sessuali che combinandosi consentivano la riproduzione. Gli esami sugli schemi mentali dell’esem-plare sopravvissuto parvero dimostrare con buona ap-prossimazione che non appartenesse alla razza dominante quanto piuttosto a una delle specie della fauna locale che gli antichi abitanti avevano cercato di preservare dalla distruzione.
Bizzarro quantomeno, ma se così aveva voluto per loro il Grande Bang, così doveva essere stato.
La clonazione dimostrò, poi, un secondo limite dato dal fatto che tutte le copie del primo esemplare ne risultavano tali e quali nell’aspetto fisico; ma questo era un particolare di per sé trascurabile. Per il resto, purtroppo, la creatura non si dimostrò pari ai nostri vecchi animali: era molto intuitiva, ma scarsamente intelligente, seppur obbediente ai comandi semplici. Comunque non si dimostrò pericolosa e ciò forse ci convinse a fare il passo successivo.
Avevamo riottenuto quel che più desideravamo: il ritorno di un animale da compagnia nelle nostre case; un animale docile, fedele e buono.
Poco importava che non fosse in grado di emettere suoni, o che fosse uguale nell’aspetto in ogni sua copia, perché il vuoto era colmato ed era questo che importava!
Una cosa però mi dava a volte da pensare. Era poco più di una sensazione, come adesso che si era fermato lì davanti a me, fermo, in piedi sulle sue due zampe e con le altre due immobili lungo i fianchi. Per un breve attimo i suoi due occhi assunsero uno sguardo di consapevolezza che solo le specie senzienti hanno. Ma si trattò solo di un attimo, come le altre rare volte che era accaduto, e subito dopo tornò l’espressione vacua di placida attesa.
Per un’eternità avevamo avuto animali da compagnia che ci somigliavano moltissimo anche nel muoversi, su quattro piedi come noi, saldi e ben piantati a terra e con la triplice vista.
Il fatto che la nuova specie non avesse le stesse doti fisiche sembrava una piccola nota stonata; ma non più di quello.
Mi sposto di fronte al robodomestico e lui, a sua volta, mi passa lentamente davanti per poi fermarmisi di fianco ad attendere il mio successivo comando per il pasto della creatura.
Dopo averlo dato mi avvicino e la carezzo sulla testa, in mezzo a quella insolita massa di pelo scuro che la ricopre.
- Buongiorno, homo sapiens - questo era parte dell’incisione ancora leggibile sulla capsula che riuscirono a decifrare i nostri scienziati - come stai stamattina?
Per un breve attimo lui fissa le sue due pupille nella mia palpebra centrale, dandomi ancora l’impressione di essere pronto a dirmi qualcosa, ma poi subito riabbassa la testa e si mette ad aspettare silenzioso e tranquillo il suo pasto.
Eh, sì! Lo stesso fato beffardo che ci aveva privato dei nostri animali da compagnia, ci aveva permesso di ritrovare, su un altro mondo lontanissimo da noi, il migliore amico che un alphacentauriano potesse avere.
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