Emma – 1ª parte
(da “I racconti del Bagnino di Rimini”)
© Natale Figura
(da “I racconti del Bagnino di Rimini”)
© Natale Figura
Emma era davvero felice: Saverio l’aveva chiesta in sposa, come lei aveva presagito da tempo e proprio come aveva sempre sperato nel suo cuore.
Saverio si era presentato all’improvviso quella tarda mattina d’estate nella sua brillante divisa di Dragone del Re con la lucida sciabola al fianco e il cappello in mano. Aveva bussato con forza alla porta della sua casa e chiesto di lei a Maria, la camerierina che aveva aperto.
L’aveva attesa impaziente, com’era sempre, nel salottino azzurro camminando su e giù sul vasto tappeto iraniano, fermandosi a volte a spaziare con lo sguardo fuori, nel giardino fiorito, imponente nella figura, austero sotto i baffoni neri, innamorato fin nel profondo degli occhi scuri.
Emma amava tutto di lui, i suoi modi rustici e forti da militare il suo sguardo franco e diretto che s’inteneriva guardandola, la sua voce profonda che pareva ammorbidirsi parlandole.
Ora sapeva spiegarsi quel languore che la prendeva dentro quando lui era lontano e quel fuoco che le scaldava le membra quando le stava vicino. Amore... ne era certa, si trattava di Amore, quello maiuscolo, quello eterno, quello infinito.
Quello che lei mai aveva provato prima in tutti i suoi vent’anni della sua vita felice.
Era entrata rapida nel salottino e l’aveva colto di sorpresa mentre sostava a guardare fuori dal finestrone. Si era voltato di scatto, con due lunghi passi l’aveva raggiunta e senza parlare l’aveva presa tra le braccia e stretta a sé fissandola negli occhi col suo sguardo magnetico. Solo un attimo e poi con un’ombra di sorriso nel volto austero le aveva detto: «Emma, mia cara, mia dolce Emma, vuoi sposarmi?» Non aveva pensato affatto e radiosa in volto «Sì» gli aveva risposto in un soffio.
«Subito... domani stesso» aveva continuato lui ora con un’espressione grave negli occhi infilandole all’anulare un anello ornato di un enorme rubino. «Mio zio Salvo, il Vescovo, ci aspetta per domani pomeriggio nella Cattedrale... »
«Ma perché, perché amore mio così di fretta... perché non domenica alla funzione del Santo? Solo quattro giorni ancora per confermare ai parenti e agli amici, che si aspettavano già questo evento» gli rispose carezzando l’anello.
«Perché domenica, Emma, mia cara, sarò già partito da Rimini per raggiungere il mio Reggimento in vista della guerra contro gli Austriaci per la liberazione di Venezia. Non abbiamo altro tempo davanti a noi e mi sono già pentito di non averti chiesto prima in sposa... Ho predisposto tutto ed anche i tuoi sono d’accordo... volevo soltanto il tuo assenso». Così concluse Saverio con una sommessa nota di dolore nelle sue parole.
Emma era davvero infelice: da quando Saverio era partito, e con lui anche Lino suo fratello non ancora una lettera, un messaggio... E quella domenica, due giorni dopo il matrimonio, a messa per il Santo, aveva pregato a lungo inginocchiata davanti all’altare maggiore, la veste candida e un bianco velo a coprirle i capelli. ‘Dio, ti prego nella tua infinita bontà, rendimelo sano e salvo...’ così mormorava a se stessa.
Il Vescovo, dal pulpito soprelevato in bronzo istoriato con le gesta del Santo, rivolgeva parole di consolazione a lei e a tutte le donne i cui mariti erano ormai ai confini del Veneto in attesa di ordini per la guerra imminente. Ma più che le parole era il tono con cui le aveva pronunciate che recavano conforto alle orecchie ed ai cuori delle presenti in massa al sacro rito.
Erano preparate, le donne, al distacco dai mariti che erano accorsi ai bandi di chiamata alle armi, forse tutte tranne Emma... troppo fresca sposa per accettare ed ammettere che il suo amore appena trovato era già così tanto lontano.
Emma coi suoi vent’anni così colmi di gioia ed ora pieni di mestizia pregava e i suoi occhi gonfi di lacrime non le permettevano di vedere intorno a lei il mondo reale, distaccandola da tutto e da tutti.
‘Perché, Dio... perché mi hai resa così felice... ed ora così crudelmente addolorata’ rimuginava talvolta nella mente.
E subito si pentiva di questo suo sfogo e tornava a pregare Dio, Gesù, la Madonna e tutti i Santi, come le aveva insegnato sua madre, affinché avessero pietà del suo strazio e le concedessero la gioia e la felicità a lungo desiderate e finalmente trovate.
Il Reggimento dei Dragoni del Re avanzava compatto coi cavalli al passo in tre Squadroni schierati in fila a meno di un tiro di schioppo tra loro. Le linee nemiche erano ormai vicine. Il Colonnello comandante aveva avuto l’ordine di raggiungere i Fanti i quali, attraversati da sud i confini del Veneto avevano raggiunta la piana e si erano attestati tra i cespugli e i sassi in attesa dei rinforzi promessi. In quella piana la Cavalleria avrebbe avuto buon spazio di manovra compiendo al galoppo le cariche contro le linee nemiche che si intravedevano in fondo e poi i Soldati, assaltando all’arma bianca, avrebbero avuto il loro momento di gloria sparando, colpendo, trucidando, infilzando i nemici e, si sperava, volgendoli in fuga verso le terre dell’alto Adige.
Così avevano pianificato i Generali piemontesi del Consiglio di Guerra nelle retrovie.
E così auspicavano i Volontari toscani e di tutt’Italia accorsi alla chiamata alle armi e i Patrioti lombardi, veneti e friulani confluiti nelle loro fila.
E così desideravano anche in cuor loro i Veneziani rimasti entro le mura cittadine in attesa della tanto sospirata liberazione e ricongiungimento col resto d’Italia.
Saverio si era presentato all’improvviso quella tarda mattina d’estate nella sua brillante divisa di Dragone del Re con la lucida sciabola al fianco e il cappello in mano. Aveva bussato con forza alla porta della sua casa e chiesto di lei a Maria, la camerierina che aveva aperto.
L’aveva attesa impaziente, com’era sempre, nel salottino azzurro camminando su e giù sul vasto tappeto iraniano, fermandosi a volte a spaziare con lo sguardo fuori, nel giardino fiorito, imponente nella figura, austero sotto i baffoni neri, innamorato fin nel profondo degli occhi scuri.
Emma amava tutto di lui, i suoi modi rustici e forti da militare il suo sguardo franco e diretto che s’inteneriva guardandola, la sua voce profonda che pareva ammorbidirsi parlandole.
Ora sapeva spiegarsi quel languore che la prendeva dentro quando lui era lontano e quel fuoco che le scaldava le membra quando le stava vicino. Amore... ne era certa, si trattava di Amore, quello maiuscolo, quello eterno, quello infinito.
Quello che lei mai aveva provato prima in tutti i suoi vent’anni della sua vita felice.
Era entrata rapida nel salottino e l’aveva colto di sorpresa mentre sostava a guardare fuori dal finestrone. Si era voltato di scatto, con due lunghi passi l’aveva raggiunta e senza parlare l’aveva presa tra le braccia e stretta a sé fissandola negli occhi col suo sguardo magnetico. Solo un attimo e poi con un’ombra di sorriso nel volto austero le aveva detto: «Emma, mia cara, mia dolce Emma, vuoi sposarmi?» Non aveva pensato affatto e radiosa in volto «Sì» gli aveva risposto in un soffio.
«Subito... domani stesso» aveva continuato lui ora con un’espressione grave negli occhi infilandole all’anulare un anello ornato di un enorme rubino. «Mio zio Salvo, il Vescovo, ci aspetta per domani pomeriggio nella Cattedrale... »
«Ma perché, perché amore mio così di fretta... perché non domenica alla funzione del Santo? Solo quattro giorni ancora per confermare ai parenti e agli amici, che si aspettavano già questo evento» gli rispose carezzando l’anello.
«Perché domenica, Emma, mia cara, sarò già partito da Rimini per raggiungere il mio Reggimento in vista della guerra contro gli Austriaci per la liberazione di Venezia. Non abbiamo altro tempo davanti a noi e mi sono già pentito di non averti chiesto prima in sposa... Ho predisposto tutto ed anche i tuoi sono d’accordo... volevo soltanto il tuo assenso». Così concluse Saverio con una sommessa nota di dolore nelle sue parole.
Emma era davvero infelice: da quando Saverio era partito, e con lui anche Lino suo fratello non ancora una lettera, un messaggio... E quella domenica, due giorni dopo il matrimonio, a messa per il Santo, aveva pregato a lungo inginocchiata davanti all’altare maggiore, la veste candida e un bianco velo a coprirle i capelli. ‘Dio, ti prego nella tua infinita bontà, rendimelo sano e salvo...’ così mormorava a se stessa.
Il Vescovo, dal pulpito soprelevato in bronzo istoriato con le gesta del Santo, rivolgeva parole di consolazione a lei e a tutte le donne i cui mariti erano ormai ai confini del Veneto in attesa di ordini per la guerra imminente. Ma più che le parole era il tono con cui le aveva pronunciate che recavano conforto alle orecchie ed ai cuori delle presenti in massa al sacro rito.
Erano preparate, le donne, al distacco dai mariti che erano accorsi ai bandi di chiamata alle armi, forse tutte tranne Emma... troppo fresca sposa per accettare ed ammettere che il suo amore appena trovato era già così tanto lontano.
Emma coi suoi vent’anni così colmi di gioia ed ora pieni di mestizia pregava e i suoi occhi gonfi di lacrime non le permettevano di vedere intorno a lei il mondo reale, distaccandola da tutto e da tutti.
‘Perché, Dio... perché mi hai resa così felice... ed ora così crudelmente addolorata’ rimuginava talvolta nella mente.
E subito si pentiva di questo suo sfogo e tornava a pregare Dio, Gesù, la Madonna e tutti i Santi, come le aveva insegnato sua madre, affinché avessero pietà del suo strazio e le concedessero la gioia e la felicità a lungo desiderate e finalmente trovate.
Il Reggimento dei Dragoni del Re avanzava compatto coi cavalli al passo in tre Squadroni schierati in fila a meno di un tiro di schioppo tra loro. Le linee nemiche erano ormai vicine. Il Colonnello comandante aveva avuto l’ordine di raggiungere i Fanti i quali, attraversati da sud i confini del Veneto avevano raggiunta la piana e si erano attestati tra i cespugli e i sassi in attesa dei rinforzi promessi. In quella piana la Cavalleria avrebbe avuto buon spazio di manovra compiendo al galoppo le cariche contro le linee nemiche che si intravedevano in fondo e poi i Soldati, assaltando all’arma bianca, avrebbero avuto il loro momento di gloria sparando, colpendo, trucidando, infilzando i nemici e, si sperava, volgendoli in fuga verso le terre dell’alto Adige.
Così avevano pianificato i Generali piemontesi del Consiglio di Guerra nelle retrovie.
E così auspicavano i Volontari toscani e di tutt’Italia accorsi alla chiamata alle armi e i Patrioti lombardi, veneti e friulani confluiti nelle loro fila.
E così desideravano anche in cuor loro i Veneziani rimasti entro le mura cittadine in attesa della tanto sospirata liberazione e ricongiungimento col resto d’Italia.
(continua)
1 commenti:
Lino, Lino, da un solo INCIPIT, due piccole perle. Il tuo racconto ed il mio. Posterò il mio dopo ma solo per fareì vedere come alcune "Affinità elettive"(come scriveva Flaubert, non sono casuali.
Bravo Lino, per il racconto e per la scelta..."casuale"(?) dell'INCIPIT
Salvo
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