Quella sera dopo aver abbassato la saracinesca, anziché tornare a casa, desiderai visitare un luogo a me caro dove i segni di un amore sincero erano racchiusi sotto le cortecce, tra i rami, nel fruscio delle foglie. Risentii una dolce melodia che mi fece voltare e vidi, sotto gli alberi, Maria Elena che canticchiava pensierosa. - Vedi quei due uccellini sul ramo? Nessuno gli dice come comportarsi o dove andare, possono scegliere la strada da percorrere. Sarebbe bello essere come loro, senza catene.
Le accarezzavo il viso, scostando la ciocca ribelle, incrociando il suo sguardo. Rispondevo alle sue domande sfiorandone le labbra, con gentilezza. Maria Elena era un’anima candida che non riusciva a opporre resistenza al dominio del padre. Toccava a me prendere in pugno la situazione. Le avrei proposto di fuggire insieme. Ma cos’avevo da offrire? Meritava di patire le ristrettezze legate al mio status sociale? Potevo essere visionario a tal punto da illuderla che non avremmo riscontrato alcuna difficoltà, che ci bastava il nostro amore? No! Nonostante l’amarezza e il patimento sapevo che non avevo scelta. Io, non potevo donarle la felicità. Lo sbadiglio di un clochard mi destò dai ricordi. Con le mani in tasca, mi avviai sulla strada del ritorno.
Leggevo i fatti di cronaca che il Giornale riportava, assaporando un caffè. Passando da un articolo all’altro non riuscivo a capacitarmi di come le persone potessero uccidere con sconcertante facilità. <Anziano aggredito nel proprio appartamento, studentessa sgozzata nei pressi di una campagna abbandonata, guardia giurata accoltellata per aver tentato di fermare un rapinatore>. Nonostante considerassi Siracusa una piccola città, avvenivano crimini talvolta gravi, che mettevano a rischio l’incolumità dei suoi cittadini. Era trascorsa un’interminabile giornata. Più calda rispetto alle altre. La Primavera stava arrivando. Si odorava nell’aria, una fragranza di fiori e voglia di assaporare i raggi del sole che portavano un piacevole tepore.
Entrò un cliente e sperai che fosse l’ultimo della giornata. Da subito mi accorsi che barcollava mentre occupò un posto dinanzi a me. - Si sente bene? - Sì – rispose seccato – dammi qualcosa da bere. - Che tipo di bibita posso servirle?
- Forse non ci siamo capiti – marcò il dialetto – fammi bere.
Era già brillo, quindi non potevo accontentarlo. Riempii un bicchiere di acqua.
- Mi prendi in giro? – andò su tutte le furie.
- La prego di moderarsi, è già ora tarda
. - Allora sei stupido – estrasse un’arma puntandola contro il mio petto. Con il tremolio nella mano provava a prendere la mira.
- Non fare sciocchezze – assunsi un tono confidenziale – sono stanco come lo sarai tu. Abbassa quella pistola.
- Voglio bere. E’ chiedere troppo?
- Non posso darti altro alcool, capisci che fai del male solo a te stesso?
- Taci ! - Lo sparo assordante mi sorprese. Vidi la mano, tinta di rosso. La camicia dapprima chiara assunse lo stesso colore. - Non parli più? – le sue ultime parole riecheggiarono nella mia testa prima che il buio s’impadronisse di me.
Un dolore insopportabile che non mi permetteva di respirare. Fu quella la sensazione quando ripresi conoscenza. Lo sguardo del Dottore non era per nulla incoraggiante. - Ha perso molto sangue Signor Faraci. Cerchi di riposare. Chiusi gli occhi seguendo il suo consiglio. Non riuscivo più a distinguere la realtà dal suo opposto. Riaprendoli era lì, accanto, che mi osservava preoccupata, l’elegante Signora. Le sorrisi - Sei un angelo?
- No – rispose – mi basta essere tua figlia - piangeva, asciugando le lacrime con un fazzoletto.
- Figlia?
- Ero venuta l’altro giorno per ascoltare la storia di te e mamma. Volevo confessarti la mia identità ma tremavo. Non so cosa potrei fare se mi rifiutassi.
- Maria Elena … - fu impossibile per me restare calmo.
- Non c’è più. Ci ha lasciato un anno fa. Sul letto di morte mi ha raccontato del vostro amore e di come lei ti amava ancora.
Apprendere la notizia mi sconvolse. Credevo che Maria Elena mi avesse dimenticato. Invece la vita mi donava un nuovo piacere? Il dolore che non mi permetteva di respirare a un tratto svanì. Mi sentii libero.
- Vieni Salvatore? –quella voce deliziosa che mai avrei potuto dimenticare pronunciò il mio nome. Maria Elena era lì, con le sembianze di quando era bambina. Sorrideva tendendo la mano. Ero contento di vederla ma ero anche spaventato
- Che succede?
- E’ il corso naturale della vita. Non devi preoccuparti.
Per quanto tempo avevo desiderato poterla toccare, di nuovo, come se la nostra separazione fosse stata solo un breve passaggio, sopportabile, dinanzi alla possibilità di proseguire il cammino insieme. Commosso, piangevo. - Ti chiedo scusa Maria Elena perché ti ho deluso. Se dal profondo del cuore riuscirai a perdonarmi sarò felice. Per quanto io desideri afferrare la tua mano, tuttavia, non posso farlo. Se ora me ne andassi, ripeterei lo stesso errore. Nostra figlia Irene ha bisogno di me.
Sbatté le palpebre più volte. Rimase con quella mano tesa ancora qualche istante prima di ritrarla - Allora va, continuerò ad aspettarti.
Il mio nome ripetuto più volte. L’urlo disperato di Irene non voleva lasciar andare la mia anima. E poi, la luce.
1 commenti:
Incredibile Valeria, riesci a sorprenderci coi tuoi racconti ed a commuoverci. Credo che abbiamo fatto un "ottimo acquisto".
Ad majora!
Salvo
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