Progetto gruppi di lavoro scrittori e disegnatori emergenti
Dedicato a quanti vogliono mettersi in gioco senza rimetterci un €urocent.
Verifica se la forza del gruppo può dove non arriva quella del singolo.
Partecipa alle pubblicazioni on-demand che organizziamo periodicamente mantenendo la piena proprietà intellettuale ed il copyright di quanto realizzi; questo è il link del gruppo di lavoro dove raccogliamo i racconti: CENERI DEL FANTASTICO per la fantascienza
Sei un appassionato di Fantascienza, Fantasy ed Horror, o di tutta la Narrativa in generale?
Ti piace scriverne o disegnarne?
Ti piace scriverne o disegnarne?
Verifica se la forza del gruppo può dove non arriva quella del singolo.
Partecipa alle pubblicazioni on-demand che organizziamo periodicamente mantenendo la piena proprietà intellettuale ed il copyright di quanto realizzi; questo è il link del gruppo di lavoro dove raccogliamo i racconti:
Italianfantasticbooks...e queste le collane antologiche attualmente in lavorazione:
TERRE INCANTATE per il fantasy
LE VIE DEL BUIO per l'horror
NARRATIVA per tutti gli altri generi
IL MIO LICEO
L’ultima volta dei calzoni corti
Arrivammo puntuali anzitempo il suono della prima campana,
coi nostri pantaloncini corti corti su quelle cosce marezzate dal
primo freddo autunnale che solo Palazzolo Acreide sa offrire il
primo di Ottobre di quel venerdì del 1965.
Era così che vestivamo noi quattordicenni di allora, spesso
anche in pieno inverno e forse fu l’ultima generazione di
ginnasiali coi calzoni corti.
Non erano dei normali pantaloncini all’inglese, stile ‘Bermuda’
come si usa adesso, erano proprio corti, appena sotto l’inguine,
o se volete, un palmo e più sopra il ginocchio. Erano grigi o
neri, con due tasche ‘alla francese’ davanti e due, dritte e col
bottone, dietro.
Non ci vergognavamo di portarli, come non potrebbe
vergognarsi un… nudista nudo in una spiaggia di nudisti. Era
così, e basta. Dalla prima elementare al V Ginnasio.
Così avevano fatto i nostri fratelli maggiori e così avremmo
continuato noi. Era quello il pensare comune, era quello il
concetto di bambino prima, ragazzo poi, adolescente alla fine.
Corti, rigorosamente corti e della foggia che ho prima descritto.
Giusto nella settimana in cui il cielo ed il tempo promettevano
neve o gelo, era ‘consentito’ un pantalone lungo, informe, di
panno. E serviva più che a far moda, a coprire quel ‘rosso
ciliegia’ che colorava i nostri capillari e ci faceva sembrare dei
salsicciotti insaccati.
Io, Ciccio, Paolo, Nicola, Giuseppe, Santo, tutti così.
Alti, bassi, grassi o smilzi, in pantaloncini corti.
Le ragazze invece avevano le loro gonne larghe, lunghe mezzo
palmo sotto al ginocchio, talune col plissé, ed i calzettoni col
risvolto, rigorosamente bianchi. Le più ‘audaci’ azzurri.
I loro capelli lunghi erano spesso tenuti fermi da cerchietti di
metallo, o raccolti in improbabili toupé o in code di cavallo
bloccate da una sorta di cinturino di cuoio intrecciato.
E così le Maria, Silvana, Pinuccia, Concetta, Carmela,
vestivano come il 1965 comandava.
Non eravamo ancora uomini e non eravamo più ragazzi e loro,
le donne, né farfalle né pupe. Un’indefinibile via di mezzo, una
‘chimera’ che ancora non capiva o non sentiva quella voce che
ci gridava dentro, doppiata, fuori, da grammi e grammi di
ormoni che ci davano le caldane, che ci tingevano le guance di
rosa (e non dal pudore), ed a cui non sapevamo come opporci o
come abbandonarci. Anima e materia che si affrontavano tutte
le volte che una Maria od una Lucia si sedeva acconciandosi la
gonna con finta indifferenza. Il beat, con le sue mode e le sue
rivoluzioni non era ancora giunto fino ai 700 metri di altitudine
del mio Paese ma era lì pronto a contagiarci, splendida
influenza che avrebbe permeato la nostra vita; la mia almeno.
Entrammo. Il vecchio portone di Via Maestranza da cui era
entrato ed uscito il nobile Signorotto che ne aveva posseduto
l’edifico per decenni e decenni, aprì le sue fauci e noi, piccoli
‘Giona’, fummo ingoiati dentro. Iniziarono le temute cinque
ore di lezione consecutive, su cui tanto si favoleggiava e vi
assicuro che furono dure, ma dure davvero. Nessuno di noi
c’era abituato e tanto meno da ‘seduto, composto e ben
educato’. E fu duro davvero tollerare quella tortura da
‘Inquisizione’ su quelle seggiole che ne parevano la ‘longa
manus’.
Venne il Preside a darci il benvenuto e ci fece la paternale sulla
‘serietà della scuola, sul prestigio, sull’impegno e bla bla
bla…’. Venne poi la volta di una Professoressa di Italiano che
di punto in bianco iniziò a parlarci di Letteratura. Non ne
ricordo più il nome e neppure l’argomento. Ci colpì tutti,
infine, una giovane Professoressa dal doppio cognome, con due
occhi azzurri indescrivibili per colore, bellezza e vivacità. Ma
ci sbalordì di più che ci desse del ‘Lei’. Non capivo… ero
stranito: “Lei Figura, si accomodi; Figura parli meno, la
prego; Figura venga alla lavagna…”.
E allora iniziai a non
sentirmi più un ragazzo. Qualcuno mi dava del ‘Lei’ come fossi
un adulto. Qualcuno mi stava ‘battezzando’ nuovamente col
mio nome e cognome, dandomi del ‘Lei’, non più con quel ‘tu’
da casermaccia. Mai successo! Ripensandoci, anni dopo, avrei
potuto sentirmi come Richard Gere nel film ‘Ufficiale e
Gentiluomo’. Ero un Uomo… ma coi calzoni corti!
E poi ci parlò del ‘Greco’, di questa nuova lingua di
derivazione fenicia, piena di strani simboli: ‘una formosa
beta, una sinuosa eta, una serpide ro, una biforcuta
gamma, una riccioluta theta’. E noi ascoltavamo rapiti,
mischiando inconfessabili pensieri ad impronunciabili sillabe.
E ci disse ancora che ‘I Greci avevano sette vocali, anziché
cinque come noi o tre come gli arabi, che erano dei grandi
pensatori e dei grandi chiacchieroni, ecco perché avevano
arricchito il loro vocabolario di tutti quei segni in più’. Uno di
noi, celiando, disse che ‘erano state le donne greche ad
arricchirlo, per avere più argomenti di conversazione’.
Chissà chi fu!
Le splendide architetture della loro mente, avevano bisogno di
suoni e segni per esprimere il loro sconfinato scibile e solo così
poterono farlo. E quella nuova lingua, la classe del ‘65/66
continuò poi a parlarla… per sempre. Che fossimo diventati
Medici o Ingegneri o Geologi o Avvocati o Ufficiali
d’Aviazione, od Operai, avremmo sempre detto: ‘miocardico,
idrico, orografico, isonomico, Aeronautico, o soltanto petra’.
Perché il Liceo è come il battesimo ricevuto da piccoli. Non
capisci, allora, cosa ti viene fatto, ma ti segna per la vita. Ti
imprime il suo marchio come l’olio sulla fronte, sulle labbra,
sulle orecchie, sul cuore. Questo è un segno del ‘divino’, quello
è un segno della mente, del carattere. Un segno che dà presenza
di sé anni ed anni dopo, che ti fa ‘diverso’ anche se diverso non
ti sembra di essere. Ti da la percezione di te stesso, come il
battesimo ti da la percezione della tua intimità con Dio.
Entrambi sono semi che crescono lentamente e giorno dopo
giorno ti accompagnano nella vita.
E allora, adesso che mi volto indietro, poco importa che
avessi i calzoni corti, poco importa che mi sentissi nudo così
come dovettero sentirsi Adamo ed Eva dopo il loro peccato di
Superbia, poco importa che mischiassi Ipponatte e John
Lennon, Foscolo e De Andrè, Baglioni e Seneca, Battisti e
Senofonte.
Quei piccoli semi che sapientemente interrarono la
Professoressa dagli occhi di Minerva e tutti gli altri Professori,
germogliarono decenni dopo e come nella favola di Pollicino
mi fecero ritrovare le briciole gettate indietro. Erano i Salvo, i
Paolo, i Nicola, i Cesare, i Natale, caduti dal buco della tasca
dei ricordi e rimasti intatti anche loro ad amare Pavese, Saffo,
Omero e Kant.
E quei sassolini li ho raccolti e:
Messi in un vasel ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio
sì che fortuna od altro impedimento rio
non ci potesse dare impedimento
…di stare insieme…….
Scusate se ho preso in prestito Dante Alighieri, che non è solo
Divina Commedia, ma anche ‘Guido io vorrei’ o ‘Solo e
pensoso’.
E soltanto adesso, alle soglie della terza età, li gusto
e godo come il gelato che gustavo d’estate, alla Villa a
Palazzolo, finita la lezione al Liceo, coi calzoni corti.
Quell’ultima estate così.
Category:
Akrai,
beat,
calzoncini,
Liceo Platone,
occhi azzurri,
Palazzolo Acreide,
racconti,
Salvo,
zombie
0
commenti
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Powered by Blogger.
0 commenti:
Posta un commento