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Wanted - "The Public Enemy" - Ricercato "Nemico pubblico"

Wanted - "The Public Enemy" - Ricercato "Nemico pubblico"
Perchè vale la pena vivere? Per vedere il Sole e la Luna che si alternano ogni giorno, trovando il tempo di leggere nel frattempo il romanzo od il fumetto che più ci piace.

Progetto gruppi di lavoro scrittori e disegnatori emergenti

Dedicato a quanti vogliono mettersi in gioco senza rimetterci un €urocent.
Sei un appassionato di Fantascienza, Fantasy ed Horror, o di tutta la Narrativa in generale?


Ti piace scriverne o disegnarne?



Verifica se la forza del gruppo può dove non arriva quella del singolo.


Partecipa alle pubblicazioni on-demand che organizziamo periodicamente mantenendo la piena proprietà intellettuale ed il copyright di quanto realizzi; questo è il link del gruppo di lavoro dove raccogliamo i racconti:
Italianfantasticbooks
...e queste le collane antologiche attualmente in lavorazione:
CENERI DEL FANTASTICO per la fantascienza
TERRE INCANTATE per il fantasy
LE VIE DEL BUIO per l'horror
NARRATIVA per tutti gli altri generi

BUON ANNO


BUON ANNO NUOVO A TUTTI GLI AMICI DEL BLOG. CHE IL 2011 PORTI TANTA NUOVA ISPIRAZIONE A TUTTI. CHE PORTI FINALMENTE UN EDITORE CHE CREDA IN NOI TANTO QUANTO NOI CREDIAMO IN NOI STESSI. E COME HA DETTO CECCO "Che le nostre amicizie nate in età matura" scavalchino il tempo e l'eternità.
Salvo

I racconti di Salvo: "Ti darò il mio cuore". Tratto da "Dall'acqua nel fuoco"

«Cosa succede nel settore placenta della mia mamma? Non arriva più ossigeno a sufficienza».


Attivare le modalità di emergenza, creare sogno di pericolo imminente. Il sogno non è valido, il soggetto non reagisce. Vasodilatazione improvvisa e pericolosa nella zona mesencefalica della mamma. Pericolo incombente. Trenta secondi alla rottura.



«Mammina svegliati – urlava il feto di meno di quattrocento grammi – svegliati adesso prima che sia troppo tardi. Svegliati per favore, non ricevo più ossigeno, mamma mi ascolti? Ti ho mandato un sogno di preavviso, mi ascolti? Non ho voce né forza sufficiente per svegliare papà e i miei piedini sono troppo piccoli e teneri per scalciare la tua pancia. Te ne prego svegliati».



Rottura dell’intima, rottura della seconda membrana dell’arteria cerebrale media, emorragia in atto, devastazione di ampia area cerebrale a sinistra, mesencefalo e acquedotto di Silvio inondati, dislocazione della linea mediana, shift grave; stato di coma, soggetto femmina, 39 anni, perduto. Feto in imminente pericolo di vita. Necessaria estrazione entro un’ora al massimo.



La donna giunse a sirene spiegate al reparto di ostetricia e ginecologia, già allertato telefonicamente. La stessa barella dell’ambulanza la trasportò in un lampo fin sul lettino operatorio. La priorità era oramai quella di salvare il piccolo feto, troppo piccolo perché potesse farcela a sopravvivere, ma troppo nocivo perché continuasse a restare in quel pancino che l’aveva ospitato per quasi sei mesi. Era lui la noxa che occorreva rimuovere. Sindrome HELP era stato diagnosticato. L’ipertensione arteriosa scatenata da quel corollario di sintomi, aveva fatto sì che una grossa arteria del cervello si fosse spaccata, come se si fosse immessa acqua a pressione in un vecchio acquedotto comunale. Ma quell’acquedotto non era vecchio; forse era difettoso dalla nascita, forse quel tecnico che l’aveva progettato non aveva calcolato che a un certo punto della sua vita, dell’acquedotto cioè, avrebbe ricevuto un afflusso di liquido e una pressione non preventivati, né era stato tarato a sufficienza, fatto è che la devastazione di ampie aree del cervello era stata cruenta, crudele e irreversibile.

Venti minuti e un fagottino più piccolo di un chihuahua veniva estratto da quell’utero ipotonico, molliccio e poco efficiente. Feto vivo in incubatrice, nugolo di neonatologi a prestargli le prime cure e nel frattempo mamma in Rianimazione.



Stato di coma areflessico, pupille midriatiche media ampiezza non reagenti, attività respiratoria spontanea assente o insufficiente, GCS 3. Paziente decerebrata. Imminente pericolo di vita.



E’ così che giunse a noi quella donna di trentanove anni, prima gravidanza, matrimonio recente, figlio desiderato. A quattro chilometri di distanza una mamma in fin di vita, forse col cervello pensante già morto e un fetino, anch’esso in pericolo di vita si parlano, con la forza della telepatia: «Che succede mammina? Ho freddo dentro questa capsula di plastica e metallo. Dov’è il tuo accogliente pancino, soffice e ovattato? Qui avverto dei campanelli che suonano delle note stridule e stonate. Vedo delle luci rosse, ma non è il tranquillizzante e tenero rosso del tuo sangue, questo è un rosso che abbaglia la vista, anche se i miei occhietti sono ancora chiusi per metà. Dove sei? Perché sento la tua voce così lontana?».

«Mi senti lontana perché lo sono fisicamente e dunque non ascolti più la mia voce attraverso le vibrazioni del mio cuore e della mia pancia. E’ con l’anima ormai che ti parlo e con quel briciolo di millivolt che il mio povero cervello, devastato come un granaio dai topi, riesce ancora a emettere. Prima è venuto un dottore che mi ha incoronato con tanti fili colorati collegati a delle margherite bianche appiccicate tra i miei capelli e sulla fronte. Hanno parlato tra di loro, i dottori, hanno parlato di me e di te. Ho ascoltato brutte cose per te e altrettanto per me. Di me hanno detto che il mio cervello non recupererà mai più la sua attività; che è morto insomma. Hanno detto che potrei donare i miei organi a persone sfortunate come me perché malate. Ma più fortunate se io potrò dare loro il mio cuore, i miei reni, pezzi del mio fegato. Pensa piccolo mio, che da sola posso fare felice almeno cinquanta persone. Sai il fegato a pezzettini quanta gente aiuta?

Poi han parlato di te. Hanno detto che sei troppo piccolo per sopravvivere e che perciò tornerai nella casa del Padre, da dove eri sceso su una scala d’oro sei mesi fa. Voluto e desiderato come il gioiello più bello.

Ma non sono triste piccolo mio e tu non tremare di freddo e paura, ritroverai la tua mammina lassù, dove vanno tutte le mamme. Ho un solo cruccio; avrei voluto che tu fossi stato più grande per sopravvivere oppure che fossi già nato, col cuore malato, per darti il mio e continuare così tu a vivere e aiutare papà a portarmi un fiore su un marmo freddo. Ma forse è meglio così piccolo mio».

«Ti ascolto mammina mia. Se annuso sento perfino il tuo profumo».

«Mi hanno detto che morirò oggi. Tra qualche ora iniziano a contare sei ore. Sai quanto sono lunghe sei ore, bimbo mio? E’ il doppio del tempo di una poppata; quelle belle poppate che avrei voluto vederti fare, stretto al mio seno, beato tra le braccia di mamma…

Ecco, arrivano, mi portano su, in sala espianto. Com’è brutta questa parola. Ma tu non aver paura, bimbo mio, la tua mamma non sentirà dolore e alla fine, anche se in spirito, il mio cuore sarà tuo, per l’eternità.

Iniziano, sento freddo, hanno iniziato riempirmi la pancia di ghiaccio e anche le flebo sono gelate.

«Dottori, non pensate a me, coprite il mio bambino che ha freddo, pesa solo quattrocento grammi, non fatelo morire, se potete. Ma se non ce la facesse, copritelo di più.

Ciao tesoro, ci vediamo più tardi».

La tua mamma.







Cronaca vera di una morte cerebrale e di un espianto d’organi. Nel mio Ospedale. Novembre 2010.

LE VIE DEL BUIO

Il leader del nostro gruppo Cecco, al centro dei due, sorride soddisfatto. Non sa, il tapino, che gente s'è messo in casa. Scrittori di Fantascienza, horror, spye story, Fantasy, murales, gente che scriverebbe su tutto, anche sull'acqua se questa trattenesse le parole. Qualcuno sta già iniziando a camminarci sull'acqua, gasato dalle critiche, sempre favorevoli dei lettori. Affonderà, non affonderà? Vedremo. Intanto gustatevi questo bell'Horror, il secondo della serie. Per il terzo ci stiamo già lavorando.
Lunga vita al nostro LEADER.

DICONO DI NOI...

... ma poteva anche essere titolato "VOCI FUORI DAL CORO".

Ebbene sì, fa piacere (e diversamente non potrebbe) sentire, anzi leggere, un parere spassionato fuori dal coro del nostro gruppo. Un parere che quantomeno non può essere tacciato di campanilismo perchè proveniente da chi è abituato a recensire "cose d'altri".

Un grazie all'amico Pippo Nativo che ha saputo descrivere con poche frasi, brevi ma concise, tanto il sunto dell'antologia quanto la simpatica descrizione dei rispettivi autori.

Uno stimolo a proseguire sulla via... oscura!!!

Cecco

P.S. Ah, dimenticavo... questo è il link della recensione http://www.ondaiblea.it/2010113029027/Recensioni/Libri-Riviste-Web/sulla-via-del-giallo-noir.html

Prima le foto

Alla faccia del metereologo(una volta si diceva "CREPI L'ASTROLOGO") che preventivava giornate della merla(No Ale, si parlava di merla...d'accordo, sempre passera è ma la famiglia non è Monichiana) e invece sotto il tiepido sole romano quattro amici VERI si sono incontrati e abbracciati. Abbiamo discusso, riso scherzato, sorriso e MANGIATO... quello si e pure tanto. Abbiamo discusso della nostra "FAME di notorietà"  e del nostro "POVERI MA BELLI". Ci siamo alfine salutati, io(da cuore tenero) con un lacrimuccio represso a stento ma vi confesso che anche agli altri sarà rimasto un ricordo indelebile di una giornata non preventivata e nata dalla follia di un Siculo, due Romani e un Campano. L'Italia è fatta! Ed è così che si fa, l'Italia, VERA.
BUON SOGNO A TUTTI.
Salvo




Giornata mondiale dei diritti dei bambini


Premessa: ho deciso di mettere un post che poco centra con la scrittura ma che ritengo molto importante per tutta l'umanità, mi scuso in anticipo con chi gestisce il blog per la non pertinenza dell'argomento.

Oggi 20 novembre ricorre la "Giornata mondiale dei diritti dei bambini" per ricordare la convenzione sui diritti dell'infanzia approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176, depositata presso le Nazioni Unite il 5 settembre 1991.

Di seguito trascrivo i primi articoli della Convenzione chi volesse leggere la convenzione per intero può andare sul sito dell'Unicef a questo indirizzo: http://www.unicef.it/doc/599/il-testo-della-convenzione-sui-diritti-dellinfanzia.htm

Art. 1
Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un'età inferiore a diciott'anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile.
Art. 2
Gli Stati parti si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella presente Convenzione e a garantirli a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza.

Gli Stati parti adottano tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.

Art. 3
In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.
Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati.
Gli Stati parti vigilano affinché il funzionamento delle istituzioni, servizi e istituti che hanno la responsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione sia conforme alle norme stabilite dalle autorità competenti in particolare nell'ambito della sicurezza e della salute e per quanto riguarda il numero e la competenza del loro personale nonché l'esistenza di un adeguato controllo.



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Amici lettori, in anteprima della pubblicazione del libro
“Vita da Ranger”
vi presentiamo le motivazioni che ci hanno spinto a scriverlo, innanzitutto per il nostro piacere ma anche per il vostro diletto.
Il libro vedrà la luce nel Dicembre 2010, ed. lulu.com.
Prefazioni
Prefazione 1.

Perché questo libro? Perché leggendo e rileggendo forse per la decima volta le storie di Tex Willer e dei suoi Pard collezionate in decenni di vita e più volte riproposte in varie versioni in bianco-nero e a colori dagli ideatori BONELLI padre e figlio e dai vari disegnatori, ad iniziare dal grande Galleppini, mi sono reso conto che ormai mi ero talmente addentrato nel modo di essere di quegli amatissimi personaggi da desiderare di rivolgere loro un tributo di ringraziamento per come mi hanno felicemente accompagnato durante la mia crescita, dalla mia giovane età ad oggi che sono ultrasessantenne, anzi, direi ormai quasi settantenne.
Più che dire GRAZIE non posso. Posso invece affermare che l’intima rettitudine che informa e pervade il modo di agire di Tex, di Carson, di Kit, di Tiger ed in genere dei personaggi positivi delle storie bonelliane, mi ha spinto a cercare di essere come loro in molte occasioni di vita, in contrapposizione al modo di agire dei personaggi ‘negativi’ che ho talvolta riscontrato di persona negli ambienti di lavoro che mi sono trovato a frequentare. Tra tutte le storie di ogni genere in cui agiscono i miei personaggi preferiti, ho sempre apprezzato quelle in cui essi lottano (e poi vincono, ovviamente) contro l’ottusità o la malevolenza di personaggi civili o militari o maneggioni della politica e, pur da militare quale io sono, ho dovuto ammettere a me stesso che spesso chi riveste un grado elevato o gestisce un potere ritiene di essere in grado di permettersi di tutto, anche al di sopra delle leggi, delle norme scritte o d’uso. Come purtroppo succede da sempre da parte di ‘qualcuno’ che si ritiene autorizzato a fare qualunque cosa anche prevaricando gli altri. Bah, bando a queste considerazioni..., i racconti di questo libro, dicevo, sono un tributo a LORO, TEX e company e sono scritti col piacere di trascorrere insieme a quei personaggi mitici altri momenti piacevoli, oltre a quelli che i Bonelli continuano a darci.
Natale Figura
Prefazione 2.

Si iniziava con le favole della nonna, con principi arditi e principesse che facevano sognare. Si continuava con l’allegra Banda Disney, lo iellato Paperino, la sua dolce Paperina, il detective Topolino, il nababbo Paperone coi suoi fantastiliardi.
Si cresceva un po’ e si leggevano Monello e Intrepido e Capitan Miki e Black Macigno col suo dottor Salasso e si approdava infine all’ “Università” del fumetto d’azione: Tex Willer e Kit Carson.
Più piccolo di mio cugino Natale (Linuccio), ho conosciuto dopo di lui questi splendidi personaggi ed è stato amore a prima vista. Scrive bene Natale portando quel fumetto, i suoi personaggi e i dialoghi a esempio del buon vivere, a esempio di valori che vanno sempre più perdendo tono, che sbiadiscono come una vecchia foto. Erano i valori della lealtà, della giustizia, della famiglia, della vita.
E’ rarissimo vedere lo ‘zip’ del proiettile e la sua traiettoria, colpire il cuore o la testa del cattivo, anche il più feroce. Erano in genere pistole che saltavano per aria o braccia colpite di striscio. E mai una volgarità, un turpiloquio. Fu proprio questa la gloria dei Bonelli e insieme il loro disdoro. Nacquero in un’Italia pulita e crebbero in un’Italia dove la parolaccia, il turpiloquio, la bestemmia, l’uccisione del nemico anche per futili motivi doveva diventare purtroppo la regola.
Il fumetto, al di là del piacere e del diletto di una storia avvincente o rilassante, è giusto che dia un messaggio positivo, prima a noi adulti, però, affinché lo possiamo ritrasmettere poi ai giovani, gli adulti di domani. E’ anche così che si educa un popolo: col parlare educato più che forbito, pacato, ma col bastone in mano. Non coi linguaggi dei talk show dove le tette e le bestemmie la fanno da padrone e senza le quali non avrebbero popolarità.
Forse ho annoiato chi vorrà leggere me e Natale, ma son questi i messaggi che traspaiono tra le righe dei racconti che vi presentiamo.
Buona lettura, senza pensieri.
Salvo Andrea Figura
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"PARTE UN TRIS"

...Come dicono i pokeristi incalliti! Stefania Auci "Il telefono", Valeria Nitto: "La casa maledetta", Salvo Figura:"Minotauro" formano il tris che per il momento abbiamo in mano noi del gruppo italianfantastycgroup. Speriamo davvero in un poker anche se ho appena appreso che Sara radicia, la nostra brillantissima Sara, scartata al primo giro vorrebbe passare. So però che NON lo farà. NON può e non deve farlo. E' la più brava, la più preparata e non può darla vinta alla giuria, perciò FORZA SARA, noi ti sosteniamo tutti. Facciamo questo bel Poker e se la facesse una prossima ,spero, new entry, Patricia Blasi, sarebbe Scala reale.


Al tavolo dunque!
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RACCONTI HORROR WMI


IO E VALERIA CE L'ABBIAMO FATTA. E così adesso ci conosceranno anche dentro la WMI. Il mio racconto, "Minotauro" e quello di Valeria "La casa maledetta" sono stati accettati ed entreranno nell'Antologia. siamo felici, anche per il gruppo e la bella collaborazione che c'è stata tra me e la piccola simpatica valeria.
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Poesia

Ebbene si, oramai tocca anche a me postare la prima cosa dopo che Salvo e Lino mi hanno spronato a farlo più di una volta.

Come primo post ho deciso di mettere una poesia tratta dal mio, al momento unico, libro di poesie pubblicato con Lulu intitolato Confessioni di un Cyrano e la dedico a tutte le donne che passeranno per queste pagine.



Vite


Non so dove, non so quando, 
so solo che un tempo eravamo tutt'uno.

Non so chi, non so cosa ci separò, 
so solo che ci siamo ritrovati per non lasciarci più.
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CAVARANNI (Cava Grande)

Cavaranni
Prologo: Cavaranni, Cava Grande, è una località in Sicilia che è diventata localmente famosa per una gradevole canzoncina che qualche volta si cantava tra cugini ed amici intorno ad un fuoco acceso sulla spiaggia.
Quelli erano tempi in cui fraternizzare tra giovani portava allegria e gioia di vivere.
In questo racconto Cavaranni è il pretesto per narrare di un ragazzo che muove i suoi primi passi in una situazione amorosa inaspettata e che porta scompiglio nella sua giovane pericolosa esistenza.
Attenzione, però, la storia è del tutto immaginaria e non coinvolge affatto persone o fatti reali o personali dell’Autore o di chi sta intorno a lui.
Buona lettura.
Cavaranni
“Supra lu munti, sinu a Cavaranni,
a Cavaranni,
c’è ’na casuzza mmienzu a li virzuri,
a li virzuri,
ci sta ’na picciuttedda di vintanni,
ca teni lu segretu dill’ammuri,
trallalleru, tiro tirò llallà”.
Questo motivetto allegro ed antico gli frullava nella testa, così come se lo ricordava, fin da appena sveglio e questo gli succedeva ormai da tre giorni, da quando, al passeggio serale sul Corso, aveva incrociato per caso una nuova interessante ragazzetta, mai vista prima.
Lo aveva attirato inizialmente uno sventolio di gonna su un paio di polpacci affusolati e due piedini con le unghie laccate di rosso acceso, nei bassi sandali di pelle nera. Era alta quasi come lui, bionda e formosa, proprio come gli piaceva.
Salendo con lo sguardo aveva trovato due occhi azzurri che lo fissavano candida-mente e che gli avevano provocato una stretta decisa allo stomaco che non si aspettava proprio. A lui, che era abituato a sentirsi ammirato dalle ragazze della sua scuola, tutte le volte che passava loro vicino senza guardarle.
Se lo mangiavano con gli occhi quelle ochette e bisbigliavano tra loro, aspettando un suo eventuale saluto, che si guardava bene dal fare: sarebbe stato troppo ‘compromettente’.
E poi non ci pensava affatto, a tutte quelle femmine, preso com’era dalla sua attività ordinaria di piccolo spacciatore di pillole della felicità.
E già, perché Luchino, come si ostinava a chiamarlo sua madre nonostante il suo metro e ottanta di altezza e i suoi settanta chili di muscoli, era diventato ormai da un anno un ‘distributore’ fisso della zona. Il Liceo era la sua ‘piazza’.
Tutti lo sapevano, anche i suoi insegnanti i quali avevano tentato più volte di distoglierlo da quella via infame e pericolosa in cui si era calato un po’ per inesperienza iniziale, un po’ per stupida vanteria e un po’ per interesse economico.
“Male, finisci” gli aveva detto l’insegnante di filosofia dell’ultimo anno di liceo, che stava ripetendo.
“Tu non ti rendi conto dei danni che provochi agli altri tuoi infelici compagni”, gli diceva la professoressa di matematica.
“Come puoi essere così incosciente?” gli ripeteva spesso la professoressa di italiano.
Ma nessuno, però, lo denunciava alle Autorità, come avrebbe dovuto.
E lui faceva spallucce trascurando rimbrotti e consigli, anzi facendo maggiore attenzione a svolgere la sua attività illegale in modo che le Autorità, appunto, non potessero sorprenderlo sul fatto. In fondo, pensava, che faceva di male? Non dava a chi glielo chiedeva proprio quello che, altrimenti, avrebbero ottenuto facilmente da altri?
Stava a loro non abusarne al punto da sentirsi male: lui dava solo le dosi giuste.

“E cu lu scrusciu di lu carrettieddu,
lu carrettieddu,
e li cianciani di lu me cavaddu,
lu me cavaddu,
idda s’arrazza e sona tamburieddu,
canzuni di lu spassu e dill’ammuri,
trallalleru, tiro tirò llallà”.
Il motivetto continuava a girargli in capo e gli trasmetteva una gioia segreta ed una gran voglia di vivere e di cantare a voce spiegata, ché tutti lo sentissero.
Forse questa sera l’avrebbe rivista.
Forse avrebbe avuto il coraggio di avvicinarla e di farle capire il suo grande interesse per lei.
Forse anche lei si sarebbe mostrata favorevole, come lui sperava.
Tanti ‘forse’ che stasera avrebbero avuto una risposta.
Quella sera la via del Corso non era molto affollata, per un improvviso calo di temperatura che aveva consigliato a molti di disertare il solito rito del passeggio.
Luchino aveva già fatto due ‘vasche’ e di lei nemmeno l’ombra, ed erano già passate le nove. Non sapeva come si chiamava, né dove abitava, né quanti anni avesse, né dove studiasse o lavorasse. Se non l’avesse rivista, temeva che l’avrebbe perduta per sempre e quest’idea gli stringeva il cuore.Eccola là, finalmente, con le solite due amiche, una per lato, che si guardavano l’una con l’altra a proteggersi dagli importuni. Lo stabilì all’istante.
Si avvicinò e “Buonasera” disse con fare deciso (mentre dentro tremava tutto per l’emozione); “Buonaseeera” risposero cortesi tutte e tre le femmine, mentre a lui interessava solo il saluto che lei aveva accondisceso a rivolgergli a mezza bocca.
“Io sono Luchino Murè”, aggiunse in fretta perdendosi in quegli occhi di mare.
“Ciao, io sono Lucia” disse una delle due guardaspalle, “e io sono Carmela” disse l’altra. E la cosa lo lasciò indifferente.
Ma quando lei gli disse “io sono Lina” con una voce dolce che pareva musica, lui si illuminò in volto al punto che le altre due, capendo, si allontanarono di un passo.
Chiacchierando a bisbigli come vecchi amici affettuosi, passeggiarono da soli per tutto il Corso cinque o sei volte, non se lo ricordava più. Le amiche erano scomparse.
E avrebbe continuato così tutta la notte, se fosse stato possibile, ma alle undici lei lo salutò porgendogli una manina delicata e fresca come acqua di sorgente.
“Ci vediamo domani sera?”, azzardò lui.
“Forse”, fece lei di rimando con un sorriso, scomparendo presto in una via laterale, prima che Luchino potesse proporle di accompagnarla a casa.
Gli aveva detto ‘forse’, pensava il giovane che voleva dire ‘si’, come fanno tutte le donne. Non era così? E la sera dopo, alle otto era già sul Corso.
Due conoscenti lo avevano avvicinato stringendogli la mano nel modo convenuto che significava ‘abbiamo bisogno di te’ e per toglierseli di torno li aveva accontentati subito estraendo in fretta le dosi dalla sua larga cintura imbottita e rinviando al-l’indomani il relativo pagamento, perché aspettava con vera impazienza di incontrare lei. Solo lei.
Ed eccola, bellissima, altera, con gli occhi azzurri che lo incantavano.
Insieme a due robusti giovanotti che lo agguantarono per le braccia. “Carabinieri” dissero tutti e tre mostrando un tesserino con foto. “Vediamo un po’ che cosa tieni nella cinta” disse lei con un serio cipiglio.

“Sta campagnola...,
ca nun mi runa paci,
di quantu è mariuola,
cridiri nun si pò.
Trallalleru, tiro tirò llallà”.
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legofemì: 30 ottobre nasce il blog

legofemì: 30 ottobre nasce il blog
scrivo perchè amo farlo
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I racconti di Valeria - Un fiore eterno (parte finale)


Ecco! Avevo uno Spirito furioso che aveva perso il controllo. Ero troppo spaventata per riflettere così mi lasciai guidare dall’istinto “Non lo penso, Bianca. Io … sono qui per ascoltarti.”
Il fantasma di Bianca cessò di urlare “Quand’era possibile venivo qua, per incontrarlo. Mi diceva che avrebbe trovato il modo per rimanere insieme, per sempre. Così iniziò la ricerca dell’eterna giovinezza, ma fallì. Da troppo tempo lo sto aspettando, qui, a Castel del Monte; testimone della nostra unione, invano”. Bianca continuava a trasmettermi tutto il suo martirio, quanto doveva aver sofferto nascondendo la loro relazione al resto del mondo. Potevo sentire ogni emozione, ogni sensazione, e questo mi spaventava, ma mi dava il coraggio per dirle “Bianca, hai dovuto portare un pesante fardello da sola, adesso ... l’hai condiviso con me. L’eternità non è nel prolungamento della vita terrena ma ciò che ci spetta dopo la morte”.

Sul volto di Bianca si dipinse un sorriso. Come quando, dopo un temporale, un timido raggio di sole attraversava le nubi nere per tornare a risplendere. La donna si scostò d’un tratto “ho udito il mio nome” e scomparve ancora una volta.

Quel rincorrere uno spirito mi stava facendo perdere la ragione. Mi ritrovai a vagare tra quelle mura, chiamandola più volte “Ecco! Sono impazzita” dissi a me stessa raggiungendo il cortile per respirare un po’ d’aria. Mi sentii sfiorare i capelli, e vidi Bianca passarmi accanto. “Dove correva?” mi chiesi, prima di vedere le sue braccia cingere la vita del suo amato. Il grande Imperatore Federico II era lì, al centro del cortile, allungava una mano verso lei.
“Quanto ti ho aspettato amore mio” le disse “dov’eri?”

“Mio Re” rispose Bianca emozionata “non riuscivo a trovarti.”

La felicità che provai vedendoli insieme non poteva essere descritta con nessuna parola. Una luce calda avvolse i due innamorati che si tenevano per mano. Una nuova vita li attendeva. Diversa da quella vissuta, eterna come il loro amore.


“Delia!” Ines mi scuoteva con foga, era fuori di sé. “Oh grazie al cielo, grazie al cielo!” ripeteva. Mi alzai intontita. La Professoressa Martini sventolava il coupon illustrativo e tremava. Pallida in volto quasi fosse sul punto di svenire.

“Come ti senti?” mi chiese il Profe
ssor Vitali che riusciva a mantenere una calma quasi agghiacciante.

“Bene … perché?” dissi una piccola bugia.

“Perché?” ribatté Ines “ti sembra normale bloccarti tutto ad un tratto e fissare nel vuoto?”
“Sembravi in trance, poi sei svenuta” aggiunse Licia “il Professor Vitali ha consigliato di non muoverti.”

“Per quanto tempo?” le chiesi.

“Cinque minuti.”

“Coraggio” disse il Professore “te la senti di camminare?”



Sospirai, sfogliando le pagine di quel tomo. Erano almeno mille e più leggevo più battevo la penna in continuazione. La Professoressa Martini aveva assegnato un tema sul Risorgimento Italiano, da esso dipendeva il sufficiente per non lasciare la materia.

“Mi perdoni, gentil donzella” disse una voce ma, alzando la testa dal libro credei di essermi sbagliata. Nella biblioteca a parte me, c’erano soltanto due persone applicate nella lettura. Dovevo aver sentito male, forse era colpa della stanchezza, tornai a concentrarmi.
Un respiro affannato proveniva accanto a me. Con movimento lento del capo mi voltai. Un uomo dalla folta barba mi fissava. Indossava una giacca molto aderente in vita, e pantaloni che si restringevano sulla caviglia grazie a quattro bottoncini. Giocherellava con un bastone di legno dal pomello d’oro. Lo ignorai tornando a leggere.

“Ho visto che può sentirmi” mi disse.

“E no!” urlai a voce alta “Di nuovo no!”

“Schh!” fui sgridata dai presenti “Signorina non si urla in una biblioteca, non lo sa?”

Mi risedetti composta, sperando che quell’uomo fosse scomparso. Per mia sfortuna era ancora lì. Se quello doveva essere il mio destino, non ne sarei stata la vittima ma lo avrei stravolto a mio vantaggio. “Sa’ qualcosa sul Risorgimento Italiano?”

L’uomo scoppiò a ridere “Mia cara, mai sentito parlare della Giovine Italia?”

“Romano Delia, è un piacere” dissi.

“Giuseppe Mazzini, il piacere è mio.”



Dopo due giorni consegnai il compito alla Professoressa Martini, inutile dirvi il voto.
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I Racconti di Salvo: "Aña Maria de Jesus Ribeiro"



Aña Maria de Jesus Ribeiro© Salvo Andrea Figura –2010

SECONDA PARTE

"Di casolare in casolare, di villa in villa, non trovo che applausi e strette di mano, mentre alle mie spalle e spesso anche in fronte, sono altre le strette che si vorrebbero avere per lo mio collo e per quello de’ miei seguaci. Abbiamo dovuto abbandonare le nostre belle camicie che tanto lustro ci diedero dalla Sicilia a Roma e giriamo vestiti come i camperos argentini ch’io ben conosco. Il buon Giambattista, e Nino sono le mie ombre e i miei guardaspalle e vieppiù lo è “Leggero” e “Tetavac” ed “Erma Bianca” che sono le nostre guide in queste valli e paludi, infide ma che finora ci han protetto le vite. Per non dire della cara Aña che cavalca sempre al mio fianco, quando non è troppo stanca per via della sua gravidanza, e che spesso va in avanscoperta alla caccia di vedette Austriache, forte della sua incredibile bravura di cavallerizza. Ti scrivo dal podere Zanetto ove la signora Teresa e il consorte Antonio(taccio di proposito i cognomi per loro maggior sicurtà) ci hanno dato asilo e cibo, per quel poco che possono. La laguna per fortuna provvede di suo al nostro sostentamento. Così gamberi, pesci e volatili sembra facciano a gara per essere mangiati da noi. Sai bene che sono quasi ateo o comunque anticlericale ma credo che Quella che Manzoni chiama Divina Provvidenza, ci stia aiutando. E’ da dodici giorni che abbiamo combinato la trafila e sfuggiamo a tre nemici terribili e spietati;la polizia papalina, i bastard Francesi e gli aguzzini Austriaci. Ho accompagnato a questa mia, una mappa




col nostro percorso, quello già fatto. Per quello futuro non ti scrivo nulla ad onta di tradirmi ma vorrei raggiungere Rimini. Da lì un barcaiolo detto “Gerusalemme” insieme a “Sgiorz” ci porteranno fino a Venezia che resiste ancora con la sua Repubblica di San Marco, ultima roccaforte, all’assalto dello straniero e lì ricongiungermi con te. Il mio sogno di vedere la terra d’Italia libera da ogni usurpatore e da un Papa che non vuole una libera Chiesa in libero Stato mentre tiene il suolo Patrio sotto il tacco arcigno del potere temporale, temo che possa affondare lentamente come un sasso in codeste paludi torbide e melmose. Non le zanzare ma i proiettili nemici adesso sono i nostri bubboni. Bello sarebbe se alcuni dei tuoi eroi della “Giovine Italia”, ci venissero incontro ben oltre i confini del Granducato di Toscana e oltre Forlì. E di ciò ti scongiuro di adoprarti a che tu provveda prima del nostro accerchiamento finale e fatale.

Il grosso rubino che vedrai all’anulare del latore della presente, rappresenta il massimo valore di scambio su cui io possa contare. Finora non si è reso necessario impegnarlo, ma qualora servisse, saprai cosa e come fare. Pur se rappresenta per lei e per me la più bella e grande promessa d’Amore stipulata in Uruguay, quando riempii questo gioiello di un’eterna promessa di fedeltà,non esiterei pur tuttavia a barattarlo con la libertà della mia terra”.


Il bagnino leggeva, sempre più preso, quelle righe che parevano sgorgare da un altro luogo e da un altro tempo. Ebbe quasi la sensazione d’essere proiettato, in quei luoghi e in quelle circostanze. Guardava la mappa e iniziava solo ora, a riconoscere quei luoghi; gli stessi in cui era cresciuto lui, da bambino: le valli del Comacchio.

“Pippo carissimo – riprese la lettera – qualora il messaggero dovesse cadere nelle mani del nemico, noi non avremmo via di scampo e finiremmo i nostri giorni tra le torture inflitteci dagli Austriaci o affogati in queste paludi. Prego Dio dunque che in qualsivoglia modo, questa missiva ti giunga per mano della mia piccola, amatissima Anita.
Tuo devot.mo
Giuseppe G.”





Il bagnino finì di leggere e si voltò a guardare quella donna; gli occhi pieni di lacrime, lui, un omaccione di quasi due metri, piangeva per una storia d’amore e di guerra, di fughe e sofferenze inenarrabili, appena in tempo per sentirle sussurrare:«Il messaggio del mio Josè… il messaggio del mio Josè…».
Poi quella donna misteriosa chiuse gli occhi e non li riaprì più, Il suo cuore si era fermato e con esso il respiro. Lucio cercò di sollevarle il capo e solo allora si accorse di un bubbone esangue, bluastro con del sangue raggrumato intorno e dilavato dall’acqua di mare. Sporgeva subito sotto la clavicola destra ed era di consistenza dura pareva piombo; era piombo. Ne riconobbe allora la natura, era la palla di uno schioppo come quello che aveva il suo bisnonno su ad Argenta per cacciare le volpi. Cosa ci faceva la palla di un moschetto ad avancarica nella spalla di quella donna. Le prese la mano guarnita dal rubino, fece per sollevarla ma, ancora bagnata, le si sfilò l’anello che gli rimase tra le dita. Lo mise allora contro il disco del sole che era ormai basso all’orizzonte. Il suo orologio segnava le 19,30. Ammirò di nuovo quel rosso fiammato del rubino, un vero sangue di piccione purissimo… e vide a quel punto un luccichio lontano, metallico e insieme con esso udì lo scalpiccio violento di decine di zoccoli sul bagnasciuga. Cinque o sei cavalieri muovevano al galoppo verso di lui, le spade sguainate e sollevate.
Mano a mano che si avvicinavano veloci, poteva distinguerne le sagome e i vestiti. Indossavano delle camicie rosso fiamma, rese ancora più brillanti dal sole. Le loro ombre proiettate in avanti dal sole ormai giunto sul filo dei monti, gli giunsero addosso di colpo. Si sentiva buffo, inginocchiato sulla rena, accanto al cadavere di una sconosciuta, mentre teneva in una mano i due fogli dei messaggi appena letti e nell’altra un anello con un grosso rubino.
Fu un attimo; a braccia aperte, come il fantoccio della Giostra della Quintana,


si vide portar via dalla sciabola del primo cavaliere, che li aveva infilzati entrambi, i due fogli e dal secondo, in punta di sciabola, l’anello.
Rimase a mani vuote e il terrore lo assalì appena vide il terzo cavaliere, che gli incombeva oramai sulla testa, manovrare la sua sciabola e rigirala di punta. Chiuse d’istinto gli occhi e attese di essere infilato dalla lama. Gli giunse invece un fortissimo colpo con l’elsa, giusto in fronte. Si fece buio nella sua mente.


«E allora Lucio Righi… sempre a fantasticare mi stai, benedetto d’un ragazzo. Cosa sogni adesso?»

Maria Teresa Zanetto Menotti, maestra in Argenta, aveva ripreso il piccolo alunno, perso dietro ai suoi pensieri.
«Dai vieni alla lavagna che parliamo un po’ di storia - gli disse mentre un raggio di sole filtrava dalla tenda della finestra dell’aula Va - parliamo un pochino di Giuseppe Garibaldi».



Il ragazzino si alzò un po’ contrariato per aver interrotto il suo sogno ad occhi aperti e si avviò alla cattedra. Iniziò a parlare prima ancora d’essere giunto alla sua meta:«Giuseppe Garibaldi nacque a… »,
«No Lucio – lo interruppe, mentre il sole faceva brillare il rubino sangue di piccione che la maestra portava all’anulare – raccontami della fuga di Garibaldi per le valli di Comacchio».
«Giuseppe Garibaldi fece quella che venne chiamata la trafila tra le paludi di Comacchio e fu solamente grazie all’impresa eroica di sua moglie Anita, se riuscì a salvarsi. La donna infatti riuscì a consegnare un messaggio di richiesta di aiuto del Generale, indirizzato a Giuseppe Mazzini, a dei cavalieri e patrioti romagnoli. Erano le 19,30 del 4 Agosto 1849. La donna era stata ferita gravemente e…

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Quando si va via… | Redazione

Quando si va via… | Redazione
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Emma - 2ª parte

Emma – 2ª parte
(da “I racconti del Bagnino di Rimini”)
© Natale Figura
Saverio cavalcava alla testa del secondo Squadrone Dragoni, fiero, con in mente gli ordini ricevuti: attaccare di concerto con il primo Squadrone scompaginando le difese della Fanteria nemica e portarsi poi sulla destra per consentire al terzo Squadrone di attraversare le linee nemiche già battute ed aprire quindi il fronte all’assalto dei Fanti.
Ma il cuore era altrove... Emma, solo lei nel suo cuore e il ricordo dell’unica folle notte d’amore che lo riempiva di dolcezza e gli straziava l’animo per l’immediato doloroso distacco.
La sua mente ragionava di guerra e di tattiche della prossima battaglia ma gli occhi vedevano ancora la sua piccola dolce sposa tendergli rattristata le braccia mentre lo salutava alla partenza. L’avrebbe atteso, certo... si erano ripromessi questo... con tutto l’amore che si erano dati l’un l’altra. Ma ora la guerra incalzava e lui era lì coi suoi Dragoni ad obbedire all’ordine del suo Re.

I cavalli nitrivano e scalpitavano e il vapore del loro respiro affannato sbuffava dalle froge dilatate nella corsa della carica.
Il rombo degli zoccoli che percuotevano il terreno sovrastava le grida dei Cavalieri e il fragore della battaglia mentre le sciabole luccicavano al sole e sprizzavano scintille al cozzo con le baionette.
Si udivano in un gran miscuglio le urla dei Soldati nemici e gli spari e i lamenti dei feriti ed il passo di corsa dei Fanti che attaccavano e quello dei Fanti nemici che volgevano le terga disperdendosi laggiù ai limiti della piana.
Polvere, grida, frastuono, odore di sangue sparso nella terra, odore di polvere da sparo... questo soltanto si vedeva, si sentiva, si odorava nell’aria offuscata.
E poi, nel silenzio innaturale subentrato... solo i flebili lamenti dei corpi senza nome degli uni e degli altri sparpagliati in terra e dei cavalli in attesa del colpo di grazia si mescolavano al passo lento dei barellieri e al loro richiamo in cerca di qualcuno da portare in salvo.
Questa era la guerra vera... non quella che si giuocava sui tavoli nelle retrovie spostando sulle carte geografiche simulacri di Armate, Divisioni, Reggimenti. Questa era la guerra che si percepiva, si vedeva, si annusava, ti penetrava nelle ossa.

Lino era ferito gravemente al braccio destro ed era stato dispensato dal tornare in servizio attivo... anche il suo cavallo era stato ferito da colpi di baionetta ed era stato necessario abbatterlo. All’infermeria del campo un infermiere gli aveva confezionato una sollecita fasciatura e poi il Capitano medico gli aveva imposto una licenza per tornare a casa e tentare di guarire dalla ferita... un colpo di moschetto di un nemico ormai cadavere in mezzo a tanti altri. E così era tornato a casa.
Ecco la sua Rimini. Ecco la casa di suo padre. Ecco sua madre che gli correva incontro affannata. Ecco la servitù che gli si faceva intorno. Ecco sua sorella Emma, che lo guardava dal portone torcendosi le mani. Un solo sguardo... Emma si volse pallida ed entrò in casa senza parlare. La madre la seguì lesta.

Sul lungomare di Rimini, nel caldo pomeriggio di agosto, un sole vivido sfavillava sulle lente onde di un mare placido che si infrangevano dolcemente sul bagnasciuga.
Il Bagnino, un reduce di altre battaglie, aveva trascorso il tempo camminando avanti e indietro osservando i bagnanti.
Ora che il sole stava calando risentiva nelle ossa l’umidità crescente e la stanchezza di una giornata trascorsa in piedi.

Si sedette sul suo scranno soprelevato e assaporò il riposo. Fantasticava di quel periodo lontano, in cui aveva combattuto e di quando, tornato dal fronte aveva ritrovato la sua famiglia che l’attendeva.
Bei tempi quelli, era galvanizzato dall’aver vinto il nemico ed essere sopravvissuto, ma anche soddisfatto delle gioie familiari al ritorno.
E poi quel lavoro di Bagnino gli piaceva... sole, mare, bei ragazzi e ragazze, tanti bambini che giocavano sulla sabbia e gli sorridevano passandogli vicino.
Ma ora si sentiva stanco e voleva riposo.
Non se n’era accorto subito di quella ragazza biancovestita... con un velo altrettanto bianco che le copriva i capelli.
Una suffragetta, pensò adocchiandola, o una originale... di quelle che si vedono ogni tanto e si vestono e si comportano così soltanto per emergere nella massa, per farsi notare.
La guardò con sufficienza e tornò ai suoi pensieri.
L’aveva cancellata dalla sua mente.
Pochi, radi e lontani bagnanti... scrutò per l’ultima volta il mare e... la vide, laggiù, lontano.
Il Bagnino di Rimini la guardò a lungo... quella mano affusolata si agitava sempre più lentamente nell'acqua resa scura dalle alghe assassine. Si agitava piano e scendeva piano piano a fondo. La guardò di nuovo... non gli andava affatto di tuffarsi per salvare la ragazza, la cui mano ancora per poco si sarebbe erta laggiù sul pelo dell’acqua. Non avrebbe fatto in tempo e poi era davvero tanto stanco.
Ecco stava scomparendo quella mano e l’anello all’anulare mandò un ultimo bagliore rosso fuoco dall’enorme rubino che l’ornava.
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I racconti di Valeria - Un fiore eterno (seconda parte)




La signorina che fece da guida, per poco non fu messa da parte dall’esuberanza della Professoressa Martini, quasi si risentisse della sua gradevole presenza.
La visita, all’interno del castello, che era suddiviso in due piani, imponeva un percorso obbligatorio.
Ciò che la guida ci fece notare fu il tetto delle sale: caratterizzato da una volta a crociera centrale dove si evidenziava una chiave di volta diversa per ogni stanza, e da due volte a botte laterali.
Provai a concentrarmi su ciò che diceva la guida, mi fu difficile perché obbligata ad ascoltare i pettegolezzi delle mie amiche.
“Continua a guardare” bisbigliò Ines.
“Sei il suo bersaglio” sogghignò Licia.
Non compresi fin da subito “Di cosa state parlando?”
“Pronto? C’è qualcuno? Di Luca, chi sennò?” risposero in coro.
Sospirai, sperando che lo stato di apprensione si attenuasse. “Smettetela entrambe. Vi ho già detto che non sono interessata a tipi così superficiali.”.
“Oh già dimenticavo, tu credi nell’amore eterno” Licia con l’appoggio dell’altra amica si burlava di me.
“Credo in quello vero” dissi “durerà per sempre, anche dopo la morte.” Era inutile parlare con loro, volevo bene a entrambe ma sapevo che, certe volte, non potevo contare sulla loro comprensione.
La Martini origliò travisando l’oggetto della conversazione. “Giusto Signorina Romano, l’eternità!” si pavoneggiò quel tanto che bastava per interrompere la guida. “Per com’è stato concepito questo luogo, pare non avesse nulla a che fare né per funzioni militari né per battute di caccia. Come vedrete dalle scale a chiocciola, che conducono al piano superiore, sono disposte in senso antiorario, diverse da altre costruzioni di quell’epoca. Era uno svantaggio per chiunque voleva impugnare un’arma, costretto a usare la mano sinistra.”.
“E la caccia?” domandò un mio compagno.
“Per l’assenza di stalle” continuò la Professoressa “s’ipotizza che lo scopo di questa singolare costruzione fosse riconducibile allo studio delle scienze, come l’astronomia e l’alchimia.”
“E non dimentichiamo l’influenza dei Templari” intervenne la guida, irritata dalla costante intromissione della Martini. “Un ordine sorto all’inizio del XII secolo, che aveva come ideale quello di liberare i Luoghi Santi dagli infedeli. Inoltre erano anche abili costruttori, si pensa che l’Imperatore abbia usufruito di questa loro capacità.”.
La Professoressa Martini proprio non si voleva rassegnare e prese ancora una volta la parola “Pare che Federico abbia avuto dei rapporti tali da far pensare che, per un periodo indefinito, questo Castello fosse stata la dimora del Santo Graal. Ve ne rendete conto?”
“Sì, Prof!” rispose la classe.
“Per questo l’eternità?” domandai alla guida.
“Secondo la leggenda” mi spiegò “il Santo Graal ha la capacità di donare la vita eterna. Abbiamo testimonianza dell’influenza dei Templari come potete vedere da quello che molti definiscono fauno” indicò la chiave di volta della settima sala in cui eravamo. Era una testa barbuta con delle strane orecchie.
“Cos’è?” domandai.
“E’ lui” disse la guida “l’idolo dei Templari: il Baphomet.” Per qualche minuto restammo a fissarlo, prima di raggiungere il cortile interno. “Qui, proprio al centro, c’era una vasca ottagonale” spiegò la donna “gli studiosi sospettano che nascondesse una reliquia tanto importante come il Santo Graal. Tuttavia il rapporto tra Federico II e i Templari non è stato molto chiaro. Pare che all’inizio abbia avuto un’inclinazione pacifica trasformatasi in odio.”.
“Federico II era interessato al potere della vita sulla morte?” chiesi.
“Quale umano non lo è?” mi disse “Tuttavia, sono solo supposizioni. Proseguiamo.”
Mi soffermai, più del dovuto, a riflettere su quanto appreso. Il fascino del mistero era ciò che mi attraeva. Mi sarebbe piaciuto poter conoscere la realtà dei fatti e sorrisi consapevole che era impossibile. Fu allora che entrai, di nuovo, in quello stato di apprensione. Ma quella volta, riuscii a definire meglio cosa provavo: dolore. Non fisico, veniva da dentro, come se il petto volesse esplodere. Trattenni le lacrime che volevano manifestarsi senza controllo. Chiusi gli occhi per scrollarmi di dosso quel devastante stato d’animo. Quando però li riaprii, mi accorsi di essere sola. I compagni di classe, gli insegnanti, i turisti, la guida, si erano volatilizzati. Incombeva un silenzio assoluto. Spaventata a tal punto da voler gridare, non ne fui in grado. Iniziai a correre da una sala all’altra, salendo perfino al piano superiore, fino a quando, la sentii.
“Chi sei?” urlai in preda al panico.
Una giovane donna dai capelli dorati mi apparve; indossava un elegante abito rosso che metteva in risalto il decolleté. Quel volto, candido come quello di un bambino, era triste.
“Sono colei che subisce un incessante tormento. Era qui il luogo dei nostri incontri, a Castel del Monte, ma lui non c’è. Non mi ha mai amato.”
Le sue parole non avevano alcun senso per me. “Sei tu … che mi trasmetti queste sensazioni?” le chiesi. Il silenzio fu interrotto da un brusio di voci. La donna scomparve, e io restai pietrificata per qualche minuto prima di raggiungere il cortile dove vi trovai delle persone. Prima di rendermi conto del loro aspetto, sperai di essermi destata da quell’incubo e di rivedere i volti conosciuti dei compagni, delle care amiche, e (non l’avrei mai detto) quello dell’esasperante Professoressa Martini. Invece, vidi i presenti prostrarsi a quella figura maestosa, dallo sguardo fiero e dal portamento regale. Uomo valoroso, dal grande spessore politico e culturale, io potevo vedere Federico II. Mi accorsi soltanto dopo che, a causa dell’emozione, i miei occhi stavano lacrimando. Li asciugai in fretta quando vidi la donna di prima accompagnata da un uomo di mezza età che si rivolse all’Imperatore “Avete già incontrato mia figlia Bianca Lancia?”
“Cotanta bellezza non potrei mai dimenticarla. Si tratterebbe di un affronto bello e buono, non credete?” rispose l’Imperatore.
La giovane donna s’inchinò sorridendo. Era bella e gioviale. Che cosa poteva volere da me? Perché stavo assistendo a un tale avvenimento?
“Perché il mio amore è stato dolce e amaro” rispose Bianca leggendo i miei pensieri. “Un amore, al quale non volevo rinunciare. Una vita di tormento per godere di quella passione insostituibile.”.
Le persone scomparvero così com’erano apparse e mi ritrovai in una stanza al piano superiore dinanzi a un letto, dove due persone consumavano il loro desiderio.
“Cos’eri per il Re?” le chiesi.
“Tu sei la mia alba e il mio tramonto, l’inizio e la fine del mio essere” disse Federico II accarezzando i lunghi capelli della sua donna.
“Io non ti credo” disse Bianca divertita.
“Eri la sua promessa sposa?” sussurrai. Non ero andata così in fondo nella vita dell’Imperatore, mi ero soffermata a Castel del Monte. Ciò che vedevo però, mi spingeva a volerne sapere di più.
Bianca continuava a sorridere. Non sembrava la stessa che mi era apparsa, con il viso rammaricato “Che cosa penserebbe Isabella se ci sorprendesse?” disse al Re.
“Impossibile amore mio, non è qui” rispose l’uomo.
“Eri ... La sua ... Amante?” conclusi.
Un No! Rimbombò per tutta la sala facendomi sobbalzare per lo spavento. Il letto sparì, la sala era di nuovo spoglia. “Non ero solo quello!” continuava a dirmi Bianca, solo che non riuscivo più a vederla. Con il cuore in gola, provai a seguire la sua voce. “Ero il suo vero amore” mi disse “l’unica in grado di capirlo. Ci era bastato un solo sguardo per divenire l’uno il completamento dell’altro. Perché non capisci? Sei come tutti gli altri? Credi che io sia stata solo un passatempo?”. (CONTINUA)
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I Racconti di Salvo Prima parte



Aña Maria de Jesus Ribeiro
© Salvo Andrea Figura –2010

Lucio Righi, ruvido e muscoloso bagnino di Rimini, nato ad Argenta, una quarantina di chilometri a Nord Ovest, nella valle del Comacchio, stava sulla torretta di legno rosso come tutti i giorni. Giugno e Luglio erano trascorsi indenni al Lido “Onde di Sangiovese” e l’inizio d’Agosto, si era già al pomeriggio del 4, non prometteva sfracelli. Oddio… gli unici li combinava lui, grande tombeur de femmes di silfidi Britanniche in caccia del maschio latino e di stangone tedesche in cerca del liebe italiano; quello che le faceva letteralmente sciogliere come sorbetti al sole.
Erano questi i suoi pensieri quotidiani su cui si rodeva e crogiolava al caldo sole di Romagna. E fu quello, che credé di vedere baluginare tra le onde piatte di quel meriggio: un sole rosso che si tuffava lento nell’acqua. Si tuffava e riemergeva, dentro e fuori e… «Quello non può essere il sole – disse a voce alta gettando via la Marlboro appena accesa – il sole entra in acqua e basta!».
Non si scompose. «Accidenti alla fretta, potevo gustarmi la sigaretta oramai», prese il binocolo che inerte e annoiato come lui, ciondolava dal chiodo lungo, mise a fuoco e vide che quello che un attimo prima gli era parso un sole, adesso era un brillante, una pietra preziosa, un rubino di dimensioni mai viste.



E il gioiello entrava e usciva dall’acqua, lento come… un lento di Frank Sinatra. Quel prezioso era attaccato a un dito. Adesso, riconoscere che dito fosse, da quella distanza, anche con l’ausilio di un binocolo… ci sarebbe voluto il “Gino Pollice” del Giallo che stava leggendo.
Quasi controvoglia prese la sua tavoletta d’emergenza da cui pendeva, come la coda di un setter, una bella cima di circa dieci metri, saltò giù dalla torretta, per far prima e iniziò a correre verso il bagnasciuga.
«Maledetta anguria – smoccolava mentre il sopraffiato gli prendeva il cuore – e maledetto il tiramisù della Graziella. Ma con cosa l’ha fatto, con latte di balena da quanto pesa nello stomaco?».


Continuò a correre ché l’acqua gli arrivava ancora ai polpacci, senza perdere di vista quel segnale: l’anello rosso che era a pelo d’acqua, quasi galleggiasse come un sughero.
Finalmente si poté tuffare e il suo elemento naturale, come ad un delfino, lo fece andare velocissimo. Una ventina di bracciate mentre i piedi 45 frustavano l’acqua, come le eliche dell’Andrea Doria, e fu a ridosso del suo bersaglio. Afferrò quella mano inanellata e nessun cenno di vita si propagò al suo braccio teso e muscoloso. Rigirò il volto di quel corpo di donna che aveva tirato su e lo colpirono da subito due grandi occhi neri semiaperti e non del tutto spenti e una lunga chioma unta e riccioluta. Poggiò delicatamente quel capo sulla tavola, traendola così fuori dall’acqua e iniziò il viaggio di ritorno verso la riva.


Il sole adesso si era abbassato sull’orizzonte ma non accennava ancora a volgersi al tramonto. Mancavano venti minuti alle diciannove, calcolò che avesse ancora almeno un’ora di sole. Lo colpì però il deserto che stava per trovare in spiaggia. Tutti i bagnanti, centinaia, forse migliaia, che fino a un attimo prima avevano affollato il lido, adesso erano spariti e con loro sedie ed ombrelloni.

La spiaggia aveva assunto l’aspetto di una caletta selvaggia, liscia e ondulata senza traccia alcuna di impronte umane sull’arena, tranne quelle del suo piede 45. Riuscì appena a intravvedere allontanarsi quelle belle chiappe della Lorena, che col suo costume brasiliano fucsia aveva magnetizzato la spiaggia intera, ché subito sparirono dietro gli eucalipto che costeggiavano la spiaggia.
Trascinò agevolmente a riva la donna tratta in salvo e si fermò un attimo a prender fiato.


Quella donna non era morta, come temeva dal momento in cui l’aveva avvicinata, e un filo di respiro faceva ancora sollevare il suo petto dai seni robusti e sodi. All’apparenza poteva avere appena ventotto-trenta anni. Era vestita in un modo strano… pareva una hippie degli anni settanta. Sopra portava una casacchina color corda cotta, al collo un fazzoletto di panama rossa come quello degli Scout e la gonna, ampia, era di lino trasparente, bianco ma macchiato di sangue e fango. Un leggero gonfiore al basso ventre attirò la sua attenzione. Pareva quello di una donna in gravidanza. Era appena accennato ma lui non era un medico e non si sentì di verificare; per quello che avrebbe potuto capirne.
Ai fianchi, una cintura di stoffa grezza teneva legato un cilindro, lungo una trentina di centimetri Era molto vecchio e pieno di graffi; fatto di cuoio, cerato e poi ingrassato perché resistesse all’acqua. Sembrava un unico blocco e in cima, il coperchio era incollato al resto del tubo con un cercine di ceralacca così da garantirne la chiusura ermetica.
Osservò ancora la donna; per un momento s’era dimenticato che era un bagnino e che il suo principale scopo doveva essere la salvaguardia della vita di quella poverina. Si chinò accostando il suo, al bel volto dell’annegata e richiamò alla memoria la sequenza delle manovre di rianimazione. Respiro e polso carotideo c’erano. Non c’era però lo stato di coscienza. Si voltò per ordinare a qualcuno dei presenti di chiamare il 118 ma si accorse che era solo, terribilmente solo.
Per la seconda volta sembrò dimentico del suo mestiere. ‘In fondo la donna respirava da sola – pensò – si sarebbe ripresa presto. Chissà cosa contiene il cilindro’.
Tirò fuori dallo zainetto dell’emergenza che portava a tracolla, un coltello subacqueo e fece saltare la ceralacca. Guardò nel foro come fosse il cannocchiale di un antico corsaro e vide occhieggiare un foglio di carta giallina, come l’antica carta paglia, arrotolato intorno a un altro foglietto più piccolo. Questo si rivelò subito come la mappa di un luogo che subito non riconobbe; quello più grande, invece, una volta srotolato mise in mostra una bella ma veloce scrittura eseguita con inchiostro nero ancora intatto. L’acqua non era penetrata nella custodia.


Si guardò intorno alla ricerca di presenze non gradite. Si sentiva un ladro nel frugare quelle cose non sue; prese a leggere: “ 2 Agosto del ’49. Peppino carissimo, stammi bene.
Il latore della presente è persona a me di grandissima fiducia e affidabilità, dunque ti prego di avere riguardo per lei come massimamente di più non potresti. Come di certo saprai Roma è caduta, nonostante la strenua resistenza di Villa Corsini e solo fortunosamente siamo riusciti a sfuggire alla caccia dei Francesi. Siamo però, viceversa, braccati dagli Austriaci al comando del feldmaresciallo d’Aspre ed è una caccia all’uomo non meno dura. Nello sfondo nebuloso si intravvedono belve fameliche sottoforma d’Austriaci, inseguenti la preda. La buona Romagna per fortuna è stata di cuore e animo nobile, come i suoi abitanti e così attraverso le paludi di Comacchio ci muoviamo come bisce d’acqua: sfuggenti, viscide, rapide. Di casolare in casolare, di villa in villa, non trovo che applausi...



Emma

Emma – 1ª parte
(da “I racconti del Bagnino di Rimini”)
© Natale Figura
Emma era davvero felice: Saverio l’aveva chiesta in sposa, come lei aveva presagito da tempo e proprio come aveva sempre sperato nel suo cuore.
Saverio si era presentato all’improvviso quella tarda mattina d’estate nella sua brillante divisa di Dragone del Re con la lucida sciabola al fianco e il cappello in mano. Aveva bussato con forza alla porta della sua casa e chiesto di lei a Maria, la camerierina che aveva aperto.
L’aveva attesa impaziente, com’era sempre, nel salottino azzurro camminando su e giù sul vasto tappeto iraniano, fermandosi a volte a spaziare con lo sguardo fuori, nel giardino fiorito, imponente nella figura, austero sotto i baffoni neri, innamorato fin nel profondo degli occhi scuri.
Emma amava tutto di lui, i suoi modi rustici e forti da militare il suo sguardo franco e diretto che s’inteneriva guardandola, la sua voce profonda che pareva ammorbidirsi parlandole.
Ora sapeva spiegarsi quel languore che la prendeva dentro quando lui era lontano e quel fuoco che le scaldava le membra quando le stava vicino. Amore... ne era certa, si trattava di Amore, quello maiuscolo, quello eterno, quello infinito.
Quello che lei mai aveva provato prima in tutti i suoi vent’anni della sua vita felice.
Era entrata rapida nel salottino e l’aveva colto di sorpresa mentre sostava a guardare fuori dal finestrone. Si era voltato di scatto, con due lunghi passi l’aveva raggiunta e senza parlare l’aveva presa tra le braccia e stretta a sé fissandola negli occhi col suo sguardo magnetico. Solo un attimo e poi con un’ombra di sorriso nel volto austero le aveva detto: «Emma, mia cara, mia dolce Emma, vuoi sposarmi?» Non aveva pensato affatto e radiosa in volto «Sì» gli aveva risposto in un soffio.
«Subito... domani stesso» aveva continuato lui ora con un’espressione grave negli occhi infilandole all’anulare un anello ornato di un enorme rubino. «Mio zio Salvo, il Vescovo, ci aspetta per domani pomeriggio nella Cattedrale... »
«Ma perché, perché amore mio così di fretta... perché non domenica alla funzione del Santo? Solo quattro giorni ancora per confermare ai parenti e agli amici, che si aspettavano già questo evento» gli rispose carezzando l’anello.
«Perché domenica, Emma, mia cara, sarò già partito da Rimini per raggiungere il mio Reggimento in vista della guerra contro gli Austriaci per la liberazione di Venezia. Non abbiamo altro tempo davanti a noi e mi sono già pentito di non averti chiesto prima in sposa... Ho predisposto tutto ed anche i tuoi sono d’accordo... volevo soltanto il tuo assenso». Così concluse Saverio con una sommessa nota di dolore nelle sue parole.

Emma era davvero infelice: da quando Saverio era partito, e con lui anche Lino suo fratello non ancora una lettera, un messaggio... E quella domenica, due giorni dopo il matrimonio, a messa per il Santo, aveva pregato a lungo inginocchiata davanti all’altare maggiore, la veste candida e un bianco velo a coprirle i capelli. ‘Dio, ti prego nella tua infinita bontà, rendimelo sano e salvo...’ così mormorava a se stessa.
Il Vescovo, dal pulpito soprelevato in bronzo istoriato con le gesta del Santo, rivolgeva parole di consolazione a lei e a tutte le donne i cui mariti erano ormai ai confini del Veneto in attesa di ordini per la guerra imminente. Ma più che le parole era il tono con cui le aveva pronunciate che recavano conforto alle orecchie ed ai cuori delle presenti in massa al sacro rito.
Erano preparate, le donne, al distacco dai mariti che erano accorsi ai bandi di chiamata alle armi, forse tutte tranne Emma... troppo fresca sposa per accettare ed ammettere che il suo amore appena trovato era già così tanto lontano.
Emma coi suoi vent’anni così colmi di gioia ed ora pieni di mestizia pregava e i suoi occhi gonfi di lacrime non le permettevano di vedere intorno a lei il mondo reale, distaccandola da tutto e da tutti.
‘Perché, Dio... perché mi hai resa così felice... ed ora così crudelmente addolorata’ rimuginava talvolta nella mente.
E subito si pentiva di questo suo sfogo e tornava a pregare Dio, Gesù, la Madonna e tutti i Santi, come le aveva insegnato sua madre, affinché avessero pietà del suo strazio e le concedessero la gioia e la felicità a lungo desiderate e finalmente trovate.

Il Reggimento dei Dragoni del Re avanzava compatto coi cavalli al passo in tre Squadroni schierati in fila a meno di un tiro di schioppo tra loro. Le linee nemiche erano ormai vicine. Il Colonnello comandante aveva avuto l’ordine di raggiungere i Fanti i quali, attraversati da sud i confini del Veneto avevano raggiunta la piana e si erano attestati tra i cespugli e i sassi in attesa dei rinforzi promessi. In quella piana la Cavalleria avrebbe avuto buon spazio di manovra compiendo al galoppo le cariche contro le linee nemiche che si intravedevano in fondo e poi i Soldati, assaltando all’arma bianca, avrebbero avuto il loro momento di gloria sparando, colpendo, trucidando, infilzando i nemici e, si sperava, volgendoli in fuga verso le terre dell’alto Adige.
Così avevano pianificato i Generali piemontesi del Consiglio di Guerra nelle retrovie.
E così auspicavano i Volontari toscani e di tutt’Italia accorsi alla chiamata alle armi e i Patrioti lombardi, veneti e friulani confluiti nelle loro fila.
E così desideravano anche in cuor loro i Veneziani rimasti entro le mura cittadine in attesa della tanto sospirata liberazione e ricongiungimento col resto d’Italia.
(continua)
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L'intervista semiseria

"A proposito di Maximilian ... dialogo intervistato ai due autori ... raccontato da uno dei due"
Cecco (Francesco Martino) - Correva l'anno ....
Peppe (Giuseppe Cristiano) - Che fai parli al passato?
C - No, era per creare l'enfasi.
P - Meglio di no, guarda, noi scrittori del genere fantastico passiamo già per mezzi paranoici, prova un'altro inizio.
C - Vabbeh .... allora ..... una sera di dicembre dello scorso anno ....
P - Ecco, vedi! Così va già bene.
C - Oh che bello ... allora ... dov'ero rimasto ... ah, sì, dicembre dello scorso anno ....
P - L'hai già detto questo ...
C - Lo so ma se non finisco qua andiamo avanti fino alla notte dei tempi.
P - Sono d'accordo con te, vai pure.
C - Avanti fino alla notte dei tempi?
P - Beh, se vuoi, ma posso farti compagnia fino ad un certo tratto ... poi avrei alcune cose da fare.
C - Che fai sfotti? E meno male che l'intervista è dal mio punto di vista.
P - Mmmhhh.....
C - Che c'è, non ti senti bene?
P - No .... fame!
C - Ma se abbiamo mangiato poco fa!
P - Appunto ... ecco perchè ho ancora fame, il ricordo è troppo vicino.
C - Ah .... allora sarò breve, ok?
P - Va bene, vai pure non preoccuparti.
C - E andiamo allora .... dunque l'idea era una delle tante non realizzate che avevi nel cassetto, me la mandasti tra una mail e l'altra ed io te la rimandai con qualche variante che mi era venuta sul momento.
P - Sì, esatto.
C - Poi tu il giorno dopo mi telefonasti dicendomi se me la sentivo di proseguire il progetto a quattro mani, ricordi?
P - Sì, sì, mi ricordo.
C - A gennaio feci il mio primo volo aereo Roma-Stoccolma e ti raggiunsi ed in due giorni buttammo giù il soggetto del primo episodio e le idee di base per i successivi ... e si cominciò da subito a scrivere.
P - Era buona la pasta al tonno che ci preparammo.
C - Ma pensi solo a mangiare ... comunque hai ragione proprio buona, e ci mettemmo anche una scatola di pelati ... anzi no era polpa di pomodoro se non ricordo male.
P - Sì era proprio quella, alla prima occasione dobbiamo rifarla.
C - Eh sì, quando si parla di mangiare mi trovi sempre favorevole.
P - (nessun commento e mano destra a massaggiare lo stomaco).
C - (nessun commento e mano sinistra a massaggiare lo stomaco).
P - Hai già finito?
C - Eh? ... No, no, chiudo subito che è venuta fame anche a me.
P - Ok.
C - Allora per farla breve il primo l'abbiamo già scritto ed il secondo è sulla buona strada, ed intanto si è aggiunta qualche altra idea, previsioni?
P - Mah l'estate è ormai finita quindi non è che ci si deve aspettare chissacchè dal tempo.
C - Che fai sfotti un'altra volta.
P - Ma se mi hai chiesto tu le previsioni?
C - Ecco ... appunto ... sarà la fame ... vabbeh, allora penso che posso chiudere per tutti e due dicendo che la cosa più bella è credere sempre in quel che si fa e se questo viene da comuni passioni è difficile che venga male.
P - Beh, hai detto tutto bene, allora potevi farla da solo l'intervista.
C - E perchè? Secondo te che ho fatto? Vabbeh, dai andiamo a mangiare che mi è venuta nuovamente fame.
P - Ok, ma mi sa che la polpa di pomodoro è finita.
C - Mmmhhh ... c'è l'hai la passata?
P - Sì quella quanta ne vuoi.
C - Allora stiamo a posto ... vai col tango e buon appetito a tutti!