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Schegge di Fantascienza - Migrante clandestino

Racconto di Natale Figura.

MIGRANTE CLANDESTINO
Dal volume di prossima pubblicazione "Schegge di Fantascienza"
di ITALIANFANTASTICBOOKS.



Il vecchio Astrocargo stracarico di larve umane e atavica sofferenza arrancava nello spazio diretto alla sua meta ormai vicina.
Erano passati sei interminabili giorni galattici standard da quando si era imbarcato, povero di crediti ma carico di speranze per un futuro migliore.
Aveva lasciato la sua terra piena di gente ingrata, cattiva, turbolenta e senza lavoro, nella speranza di raggiungere quel vicino Pianeta dove i sogni potevano divenire realtà.

Tutti lo avevano aiutato e incoraggiato a partire.
«Vedrai – gli avevano detto – dove andrai troverai pane e lavoro e giustizia e fratellanza».
Ancora doveva arrivare e già sognava che avrebbe fatto venire anche sua moglie e i suoi figli che, piangendo, lo avevano abbracciato a lungo.
«Coraggio bambini – aveva sussurrato loro tra i capelli ricciuti – papà va a trovare un nuovo mondo pieno di ricchezze e di tante cose buone e presto vi chiamerà a stare tutti insieme in quel Pianeta fertile e benedetto dallo Spirito Galattico».
Li aveva guardati dal piccolo Astrocargo che s’innalzava nel cielo, abbracciati alla sua sposa che, affranta, col braccio alzato, lo salutava. Seria, senza piangere.
La traversata era dura, così stipati, e i milioni di chilometri passavano lenti. Per fortuna non avevano incontrato tempeste solari. Anche loro, altrimenti, sarebbero periti lungo la rotta, come già successo ad altri.

Ed ecco finalmente laggiù, tanto vicino da toccarlo, ma ancora così lontano, un globo azzurrino, evanescente come un miraggio: la Terra promessa.
Tutti volevano vedere, festanti; tutti si agitavano scomposti nell’Astrocargo, gremiti intorno ai decrepiti videfon.
Lo scafista urlò in quel suo galattico ostile, li minacciò col fotofusore e il breve tumulto si acquietò.

Adesso lui, migrante clandestino come tanti lì dentro, era più sereno, aveva la nuova vita a portata di mano. Tra poco avrebbe poggiato i piedi su quella Terra diversa e lussureggiante che lo avrebbe finalmente accolto. Eppure, nel fondo dell’animo una grande nostalgia lo prese stringendogli il cuore in una morsa dolorosa: non sarebbe più tornato nella sua Patria perduta dove aveva vissuto tutta la sua povera esistenza. Lì, dove avrebbe voluto morire, in pace.
Il suo odiato ed amato Pianeta Rosso.

Nella notte stellata di San Lorenzo scintille danzavano in cielo, le Sue lacrime.
La Terra attraversava le Perseidi e le loro scie luminose si susseguivano accendendo i desideri degli innamorati.
Una trapassò rapida il piccolo Astrocargo, creando un nuovo rosso fuoco d’artificio.



(Riduzione in chiave fantascientifica di "Il clandestino" di Natale Figura)
natalefigura@virgilio.it
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AUTORIZZAZIONE ALLA PUBBLICAZIONE

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Il Portiere di via dei Cipressi 47 - di Alessandro Ruoso

Il Portiere di via dei Cipressi 47
© Alessandro Ruoso

Mi chiamo Alberto e adesso sono il Portiere titolare di un Condominio in via dei Cipressi 47, attività che svolgo dal giorno in cui la Ditta dove lavoravo aveva fatto bancarotta e il proprietario era scappato lasciandoci senza lavoro e senza liquidazioni dall'oggi al domani.
Io ero preso con le ricerche di una nuova occupazione quando mio cognato Andrea, che fa l'Amministratore di alcuni Condomìni, mi disse: «Ti andrebbe di fare il Portiere in uno dei palazzi che amministro?»
Era un bel colpo di fortuna in quel momento di crisi ma non sapevo nemmeno come e cosa fare per cui risposi titubante: «Beh, non so, è un lavoro che non ho mai fatto. Ci sono indicazioni particolari?»
Ero costretto ad accettare la proposta per ovvie questioni economiche ma mi sentivo come un uccello preso al laccio.
«Vedrai che non ci saranno problemi: il Portiere di uno stabile che gestisco andrà in pensione oggi e stavo giusto cercando qualcuno di cui mi potessi fidare per sostituirlo».
«E dove sarebbe il Condominio?»
«Domattina vieni con me e andremo a vedere se ti piace il posto, poi decideremo il da farsi, va bene?»
«Benissimo» risposi io.
Il giorno dopo ci incontrammo al solito bar e partimmo con la sua macchina verso il centro città.
«Eccoci, siamo arrivati». Andrea fermò la macchina e parcheggiò a lato dell'ingresso del Condominio che si trovava al n° 47 della Via dei Cipressi. Mi apparve una vecchia casa, logorata dal tempo e dall’incuria, con un aspetto piuttosto truce... e troppo vicina al Cimitero cittadino.
«Lo stabile è questo, qui potrai trovarti bene, credo: è un posto tranquillo senza quella pazzia che regna nei Condomìni oggi giorno che li rende quasi simili a un Bronx. Non badare all’aspetto esteriore dell’edificio e vedrai che ti piacerà il lavoro». Non so perché ma quelle parole dette in quel modo mi davano un senso di falso convincimento; forse ero io che avevo frainteso la frase e il modo in cui era detta ma c'era qualcosa che non mi persuadeva. E mi sentivo a disagio per la vicinanza del palazzo al Cimitero.
Già il fatto che mio cognato mi avesse trovato così velocemente un lavoro, appena perso il mio e per di più in questa vetusta palazzina di periferia, mi dava da pensare ma “Se ci sono dietro i guai che mi sento nelle ossa, lo scoprirò presto” pensai cercando di non far trapelare il mio principio d'ansia.
Andrea suonò il citofono e disse semplicemente «Sono io».
La porta a scatto automatico si aprì cigolando e subito entrammo nell'androne ampio ma spoglio. In un angolo c'erano delle piante che avrebbero dovuto servire a rendere più bello e meno asettico l’ingresso ma, sincera-mente, mi facevano pena per come apparivano trascurate e con qualche ramo spezzato. Sembrava che fossero state usate come gioco preferito di alcuni bambini che forse abitavano lì.
«Vieni» mi disse Andrea girandosi verso di me impaziente. Lo raggiunsi ed entrammo in una stanzetta vetrata dove c'era una scrivania, una sedia e un monitor per la vigilanza.
Da una porta dietro la scrivania entrò un tizio robusto, di una certa età, capelli brizzolati e baffi e un berretto a visiera in testa con la scritta “Portiere”.
«Ciao Andrea, sei venuto con il sostituto, vedo... Bene!».
In quel momento mi sentivo osservato come una cavia da laboratorio che non poteva sfuggire al suo infausto destino.
«Io sono Gianni, piacere» si presentò, facendo vibrare i baffi.
«Piacere mio, io sono Alberto» dissi, cercando di apparire calmo e tranquillo ma mi si leggeva in faccia che non era così: era tutto talmente nuovo ed era successo tutto così in fretta che mi sembrava di essermi appena svegliato da un sogno.
«Bene, Alberto, non ti devi preoccupare il lavoro è più semplice di quello che sembra e vedrai che in men che non si dica farai tutto automaticamente» disse il Portiere.
«Ok, allora Gianni lo posso lasciare nelle tue mani? Istruiscilo bene e fammi sapere come va. Ci vediamo dopo. Alberto, mi raccomando...» terminò mio cognato Andrea, il quale uscì dalla portineria e si diresse verso la sua macchina.
“Ecco, ora sì che non posso più scappare” sospirai tra me e me, rassegnato al nuovo lavoro.
«Bene, Alberto, cominciamo: in questo Condominio ci sono quaranta appartamenti, in alcuni ci abitano i proprietari, altri sono affittati a piccoli nuclei familiari, altri ancora sono vuoti per vari motivi. Vieni ti faccio vedere il palazzo» espose Gianni. Mise il cartello alla porta «TORNO SUBITO» e mi fece strada verso lo scalone a lato dell'ascensore.
«Una cosa importante, forse l'unica da non dimenticare assolutamente, è di non usare MAI l'ascensore, che tra l’altro non usa più nessuno perché è troppo vecchio. Siccome sei da solo in portineria nessuno ti può salvare se rimani bloccato».
“Salvare?” pensai, lo guardai con aria confusa e un po’ allarmata e «Beh non ci sono problemi, non l’userò, io soffro talvolta di una leggera forma di claustrofobia» dissi a voce forse un po’ più alta del necessario.
«Benone questa tua lieve fobia ti sarà utile nel lavoro, vieni, prendiamo le scale. Sono dieci piani ma non ti preoccupare ci farai il callo, anzi le gambe» e scoppiò in una sonora risata che però non mi tranquillizzò affatto.
Arrivammo all'ultimo piano entrambi con il fiatone. Lungo la salita Gianni mi spiegò chi abitava nei vari appartamenti che incontravamo man mano che salivamo.
Il Condominio sembrava diviso a strati, nei primi tre piani c'erano uffici e studi vari, dal quarto al settimo piano c'erano le famiglie affittuarie e negli ultimi tre piani abitavano i proprietari di alloggi che sembrava avessero preso i piani alti per isolarsi dal caos esterno che regnava nei piani bassi durante le ore d’ufficio.
L’attico al decimo piano però era semivuoto, mi disse, perché non lo voleva prendere in affitto nessuno. Ci stazionava soltanto come guardiana una “Signorina”, aggiunse serio, che non si mostrava mai, anche quando lui bussava per chiederle se avesse bisogno di qualcosa o per consegnare la posta: voleva che gliela passasse dalla fessura sotto la porta. Come vivesse lì dentro non lo sapeva «... e poi non sono affari nostri» concluse.
Guardai il portoncino blindato, solitario nel pianerottolo in cima alle scale, e mi sembrò che vibrasse come se, dietro, qualcuno gli si fosse appoggiato sopra per sbirciare dall’occhiolino. Io sono un po’ apprensivo e la cosa mi provocò un certo prurito alla nuca, mentre ci voltavamo per tornare da basso.
«L’ultimo inquilino vero – continuò a dirmi Gianni scendendo – ha disdetto il contratto per telefono ed è scomparso. Non ha nemmeno pagato le bollette delle quote condominiali. Si dice che “lei” gli abbia fatto non so che cosa...»
Scendemmo le venti rampe di scale e rientrammo nel bugigattolo del Portiere. «Adesso ci vuole un buon caffè, che ne dici?» mi propose Gianni.
«Sicuramente. Potrei avere anche un bicchier d'acqua? Ho la gola secca» risposi.
«Certo, qui ho tutto quello che serve, vieni di là, ti faccio vedere il retro» ciò detto si diresse verso la porta che dava sul retro del gabbiotto, quella da dove era uscito all’inizio.
Da lì si accedeva a un bilocale: una stanzetta che fungeva da cucina arredata con un piccolo tavolo, tre sedie, un televisore portatile, di quelli che si trovano sui camper, con relativa antenna alzata e lettore DVD incorporato e, continuando, una piccola camera da letto con un bagnetto provvisto di doccia. Un appartamentino insomma adatto a uno scapolo o al massimo a una coppia. Le due finestre davano sul Cimitero.
«Ammira! Questo da oggi è tutto tuo, sei contento?» disse Gianni con fare scherzoso e io risposi «Come no, non vedo l'ora di trasferirmici: casa e bottega» e ci mettemmo a ridere di una risata che risuonò falsa. Azionò un’antidiluviana macchinetta automatica a cialde pressate e mi porse in un bicchieretto di vetro un caffè fumante e senza zucchero.
«Complimenti per il caffè» gli dissi dopo aver bevuto quella mezza ciofeca, acquosa e amara.
«O cafè è un’arte e visto che io ho origini napoletane ho imparato i trucchetti del mestiere da giù – si vantò – vedi, devi mettere la cialda del decaffeinato solo dopo aver fatto scorrere un bel po’ d’acqua calda per riscaldare il beccuccio di metallo».
«C'è nessuno?...Gianni?» ci interruppe una voce arrivata dal gabbiotto vetrato.
«Arrivo!» si sbrigò a dire. Mi alzai e lo seguii. Nell’ufficetto c'era un postino con la pettorina gialla fosforescente che frugava nella borsa delle lettere.
«Ehi, Roberto, come va?» salutò Gianni.
«Ah allora ci sei... pensavo che fossi rimasto secco su per le scale stavolta» disse il nuovo arrivato alzando gli occhi.
«Non ancora ma se continuavo come prima davvero ci sarei rimasto... per questo ho preferito andare in pensione ed essere sostituito. Ecco il nuovo, si chiama Alberto». Gianni si scansò e mi rivelò «Lui è Roberto, ricordati che se lo vedi è perché ci sono bollette o brutte notizie per qualcuno del palazzo, quindi è meglio che tu lo veda il meno possibile» e ridacchiò.
«Piacere di conoscerti Alberto – enunciò il postino – tieni conto solo del dieci per cento di quello che afferma Gianni, perché il rimanente novanta per cento sono fregnacce, come diciamo a Roma». «Ah, un derby Roma-Napoli, vedo...» sorrisi stringendo la mano al postino che aveva appoggiato tre buste sulla scrivania. «E tu di che squadra sei Alberto? Non mi dire che sei gobbo».
«Ebbene si sono gobbo e fiero di esserlo» risposi in tutta fretta. «In questi anni ci sta andando male ma torneremo a splendere come un tempo» affermai, rilassato...
«Beh vedremo... nel frattempo vi ho portato un po’ di posta da dare ai vostri cari Condòmini, questa è per la signora Bianchi del quinto piano, questa per il Dottor Salani del sesto e questa è una lettera speciale per la “Signorina” dell’attico» e con un cenno di saluto Roberto si avviò verso il motorino parcheggiato fuori del portone, lasciato spalancato per poterlo controllare.
«Ma all’attico mi hai detto che non c’è più nessuno in affitto, a parte la guardiana che non esce mai» dissi confuso, rivolto a Gianni. «E’ vero – mi rispose – ma la “Signorina” ogni sei mesi riceve una lettera. E allora tocca al Portiere darle la posta e scappare giù per le scale più veloce che si può. Ne va della propria vita!»
Adesso mi era chiaro il motivo per cui avevo potuto trovare quel posto di lavoro così facilmente... ecco dov’era l’inghippo!
‘Grazie cognato!’ pensai tra me e me ingiuriandolo come si meritava. Ma ormai ero preso nell’ingranaggio e mi toccava adeguarmi. E poi avevo realmente bisogno di quel lavoro, tutto sommato poco faticoso, a parte il salire e scendere le rampe di scale invece di usare l’ascensore. Mmmm... dovevo vincere la mia fobia per i luoghi chiusi e angusti.
«Gianni – accennai – ci pensi tu a consegnare la lettera all’attico come TUA ultima azione prima del pensionamento?»
«Non-ci-penso-nemmeno» rispose tutto d’un fiato l’amico.
«Ora tocca a te – aggiunse – come TUA prima azione nel nuovo incarico...» e mi calcò in testa il suo cappello grigio con visiera, con la scritta “Portiere” ricamata sopra.
Mi strinse la mano, afferrò una valigetta già pronta, mi batté sulla spalla a titolo di incoraggiamento, si girò e uscì rapido nell’atrio che percorse veloce scomparendo nella strada.
Ora ero solo nel gabbiotto, con quelle lettere da consegnare.
Rimasi qualche secondo a pensare... presi la lettera per la “Signorina” dell’attico e me la rigirai in mano. L’indirizzo era scritto in inchiostro viola, con una grafia sottile e tremolante che denotava, forse, incertezza. “Alla Signorina dell’attico – via dei Cipressi, 47”, recitava la scritta. Decisi di prendere il tigre per la coda e cominciare da lì, dall’attico.
Mi avviai con le buste in mano verso il cancelletto metallico dell’ascensore. Avevo deciso di ignorare volutamente il suggerimento del mio predecessore per provare a vincere la mia claustrofobia, considerando che la cabina era di metallo traforato e con ampi spazi vetrati. In realtà non mi andava proprio di rifare le venti rampe da dieci scalini ciascuna per arrivare al decimo piano.
L’ascensore si avviò lentamente e con qualche scossone: un metro, due metri, tre metri e poi continuò a salire piano piano. Mi ripromisi di avvisare Andrea, l’Amministratore, quel fetente di mio cognato, per farlo revisionare a dovere.
La cabina si fermò cigolando e dondolando all’ultimo piano.
Uscii lasciando aperto il cancelletto... In fondo dovevo soltanto recapitare una lettera ma mi risuonava nella testa l’avvertimento di Gianni “ne va della propria vita”. Che cosa avesse voluto dire non lo sapevo ma io ci tenevo alla mia vita, comunque.
Con un po’ di apprensione suonai il campanello e il trillo forte si spense pian piano all’interno. Attesi guardandomi intorno mentre un fruscio come di qualcosa che striscia sul pavimento andava aumentando finché il “qualcosa” si fermò dietro la porta. Una sgradevole sensazione di essere osservato dall’occhiolino mi fece desiderare di andarmene subito... e poi il cancelletto aperto dell’ascensore sembrava invitarmi ad entrarvi al più presto per ridiscendere.
Provai a inserire la lettera sotto il portoncino blindato ma un impedimento non mi consentì di usare quel metodo. A un certo punto l’uscio si socchiuse con uno scatto metallico e mi sembrò di intravedere una creatura orrida nelle sembianze, dalla pelle biancastra e squamosa. Si spalancò del tutto e la “Signorina” avanzò verso di me con un ghigno di traverso sulla larga faccia schiacciata e un braccio flaccido e butterato proteso a carpire la lettera che ancora stringevo in mano.
Non so bene come feci ma con un balzo mi ritrovai ansante e coi capelli ritti dentro la vecchia cabina in ferro battuto del vecchio ascensore.
Premetti freneticamente il pulsante per il piano terra.
L’ascensore si avviò proprio mentre quella creatura si affacciava al vetro del cancelletto scuotendolo per aprirlo.
La cabina scese di un metro, di due, di tre e si bloccò tra un piano e l’altro dondolando. Io dentro, con la mia claustrofobia e ancora la lettera stropicciata in mano e... quella cosa là fuori che scuoteva il cancelletto di ferro.
Sono passate dodici ore e sono sempre qui.
Nessuno è venuto a tirarmi fuori.
Quella continua a guardarmi attraverso il vetro.
Se ne esco vivo, giuro di non usare MAI più l’ascensore.


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DALL'ANTOLOGIA "Note di Condominio" a cura di Francesco Martino e Natale Figura. (NARRATIVA - Italianfantasticbooks) lulu.com.
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365 RACCONTI HORROR PER UN ANNO

http://youtu.be/uud4qNcGz-c
 Sabato 14 MAGGIO AL SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO DI TRINO PRESENTAZIONE DELL'ANTOLOGIA "365 RACCONTI HORROR PER UN ANNO". Ci sarann racconti di Natale(Lino, Valeria, Salvo, Maria e Andrea, Lorien87... tutti amici di ITALIANFANTASTICBOOKS)Insomma come a dire che ci siamo fatti onore anche se rappresentiamo la "concorrenza" e un po' la "rottura" con alcuni canoni. La classe però, con molta IMMODESTIA non è acqua.
Salvo
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Migrante clandestino

Migrante Clandestino

Dal volume di prossima pubblicazione "Schegge di Fantascienza"
di ITALIANFANTASTICBOOKS.

Il vecchio Astrocargo stracarico di larve umane e atavica sofferenza arrancava nello spazio diretto alla sua meta ormai vicina.
Erano passati sei interminabili giorni galattici standard da quando si era imbarcato, povero di crediti ma carico di speranze per un futuro migliore.
Aveva lasciato la sua terra piena di gente ingrata, cattiva, turbolenta e senza lavoro, nella speranza di raggiungere quel vicino Pianeta dove i sogni potevano divenire realtà.

Tutti lo avevano aiutato e incoraggiato a partire.
«Vedrai – gli avevano detto – dove andrai troverai pane e lavoro e giustizia e fratellanza».
Ancora doveva arrivare e già sognava che avrebbe fatto venire anche sua moglie e i suoi figli che, piangendo, lo avevano abbracciato a lungo.
«Coraggio bambini – aveva sussurrato loro tra i capelli ricciuti – papà va a trovare un nuovo mondo pieno di ricchezze e di tante cose buone e presto vi chiamerà a stare tutti insieme in quel Pianeta fertile e benedetto dallo Spirito Galattico».
Li aveva guardati dal piccolo Astrocargo che s’innalzava nel cielo, abbracciati alla sua sposa che, affranta, col braccio alzato, lo salutava. Seria, senza piangere.
La traversata era dura, così stipati, e i milioni di chilometri passavano lenti. Per fortuna non avevano incontrato tempeste solari. Anche loro, altrimenti, sarebbero periti lungo la rotta, come già successo ad altri.

Ed ecco finalmente laggiù, tanto vicino da toccarlo, ma ancora così lontano, un globo azzurrino, evanescente come un miraggio: la Terra promessa.
Tutti volevano vedere, festanti; tutti si agitavano scomposti nell’Astrocargo, gremiti intorno ai decrepiti videfon.
Lo scafista urlò in quel suo galattico ostile, li minacciò col fotofusore e il breve tumulto si acquietò.

Adesso lui, migrante clandestino come tanti lì dentro, era più sereno, aveva la nuova vita a portata di mano. Tra poco avrebbe poggiato i piedi su quella Terra diversa e lussureggiante che lo avrebbe finalmente accolto. Eppure, nel fondo dell’animo una grande nostalgia lo prese stringendogli il cuore in una morsa dolorosa: non sarebbe più tornato nella sua Patria perduta dove aveva vissuto tutta la sua povera esistenza. Lì, dove avrebbe voluto morire, in pace.
Il suo odiato ed amato Pianeta Rosso.

Nella notte stellata di San Lorenzo scintille danzavano in cielo, le Sue lacrime.
La Terra attraversava le Perseidi e le loro scie luminose si susseguivano accendendo i desideri degli innamorati.
Una trapassò rapida il piccolo Astrocargo, creando un nuovo rosso fuoco d’artificio.

Come non litigare nei FORUM. di salvo andrea figura




                                                   Come non LITIGARE nei forum

Tutto nacque quando si decise, io e un altro scrittore, di parlare delle "d" eufoniche". Il tono era cordiale, convenevole e umoristico.


A un tratto entra in ballo la Redazione dicendo la sua dal punto 1) in poi e allora "Apriti cielo".


Ecco come una discussione che vuol nascere sotto i migliori auspici, degenera non appena un ANONIMO della Redazione si arroga il diritto di imporre leggi di scrittura, di darti dell'ignorante perch è pubblichi su lulu.com e facezie simili.


Ve lo espongo come monito ed esempio da non seguire mai.L'unica regola in questi casi è di diventare degli Yesman o chiudere prima la discussione.

Salvo



















READAZIONE

1) Adeguarsi e fare contenti gli editori da cui vorrebbero farsi pubblicare

2) Opporsi ideologicamente a spada tratta (e alla fine dover scegliere: o adattarsi a quello che fa l'editore, se si vuole farsi pubblicare, o rinunciare alla pubblicazione)

Dopodiché, se si parla tanto per parlare o per tenersi i dattiloscritti nei cassetti... allora ognuno faccia quello che vuole. Tanto non lo leggerà nessuno...

SALVO



Vedi Redazione o F****, il problema è speculativo, ORMAI, perchè so bene che le "forche caudine" degli Editori e delle lingue in evoluzione sono quelle. Minestra=finestra. O le togli o non ti pubblico. Non sarà un bel modo di ragionare, ma è così e

E se tra 50 anni tornassero, non avrei poi il diritto di farti mangiare(a te Redazione) e non metaforicamente, tutto quello che hai scritto adesso? (ne metto tre faccine, non si sa mai.)

REDAZIONE



Primo: chi scrive non è **** Lui lo fa collegandosi a nome suo, per cui per cortesia rivolgiti alle persone per ciò che sono, non per ciò che tu immagini siano.

Secondo: se fra 50 anni tornassero le "d" eufoniche che cosa ci sarebbe da farci rimangiare (come hai scritto tu in modo molto antipatico e supponente) rispetto a quello che abbiamo detto? Nulla cambierebbe: se gli editori dovessero ricominciare a usarle, l'autore furbo e intelligente le inserirebbe. Punto. E' questo il ragionamento. Prima di scrivere una risposta a qualcuno, sarebbe buona norma leggere con attenzione quello che questo qualcuno ha scritto. Tu tendi un po' troppo spesso a interpretare a modo tuo le parole degli altri.



se qualcuno vuole tenere per sé le sue opere, pubblicarle su Lulu.com dove anche gli analfabeti possono pubblicare i loro capolavori, oppure far leggere le proprie cose ad amici e parenti, allora è libero di fare quello che vuole, di usare la "d" eufoniche come meglio gli pare e pace all'anima sua.

SALVO



@No scusami,ma a questo tono MALEDUCATO non ci sto proprio. Ti avevo anche messo tre faccine proprio per dirti che scherzavo ma a quanto pare l'humor non è nelle tue corde. Allora visto che non sei *** ti prego di qualificarti invece di sputare sentenze dietro un logo Redazione.

Terzo, non vedo che supponenza in te! Ho espresso una mia opinione non un Vangelo, come credo che faccia tu adesso. Ho anche specificato che si faceva della speculazione ma forse bisognerebbe spiegarti il senso della parola speculazione visto che sei partito per la Tangente.

Quinto, se vorrai avere la cortesia di qualificarti con nome e cognome mi farai cosa gradita.



REDAZIONE



Per ciò che riguarda la "d" eufonica, confermo le parole della Redazione (sono tre persone che si alternano, che ho incaricato io di seguire il forum, okay? Fra queste anche qualcuno che conosci bene, quindi per cortesia tienilo a mente la prossima volta): in questa area tecnica non discutiamo di filosofia della scrittura, dei massimi sistemi della letteratura, delle ideologie della sintassi, okay? Qui il taglio è pratico, e quindi le risposte vengono date in questo senso. A chi non piace questo taglio, per quanto ce ne dolga, può andare a sfogarsi in altri siti più consoni, oppure aprire una discussione in un'altra area del sito, dove farebbe meno danni.

SALVO



finchè mi accetterete nel forum dirò la mia COL GARBO e con lo Humor che sai e conoscono tutti, e se sbaglio, come s

Non dirlo a me di tenere a mente chi c'è là dietro; avrebbe dovuto avere il garbo LUI di sapere chi c'è da questa parte, con nome cognome, indirizzo e numero di telefono, ANZICHè ENUMERARE I MIEI ERRORI con NUMERO UNO, DUE E TRE. In casa sua, per favore non qui e non con me e non con quel tono. Mi spiace davvero tanto dover usare questi toni ma chiunque legga il mio post vedrà quante premesse e note umoristiche ho allineato proprio per evitare equivoci. ma a quanto pare qualcuno scrive per partito preso, o perchè preso da partito!



Inviato: Mer 20 Apr 2011 14:07 Oggetto:

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INTERVENTO DI UN FORUMISTA

jpaulverlain ha scritto:

@ Mi dispiace ***, si era deciso in armonia e ironia di iniziare a discutere del problema delle "d" eufoniche e ricevo una risposta con dei quasi diktat:

NUMERO UNO

nUMERO DUE

NUMERO TRE

A dare dell'ignorante solo perchè si pubblica su lulu e a non capire certi toni ironici sopttolineati dalle faccine e rimarcati a parole...Certo che poi i tioni si esasperano. Era un discorso a due, io e te; l'anonimo risponditore AVREBBE POTUTO esporre le sue ragioni senza le premesse da diktat, ma con garbo dirmi: Guarda che la Crusca dice così, secondo noi è così secondo Xingraelli è così. top, finiva lì.

Vabbe' Buona pasqua, sono davvero amareggiato.

salvo



REDAZIONE



Nessuno ti ha dato dei diktat. Il numero uno era per dirti che redazione non è Franco Forte come invece tu hai dato per socntato, parlandone pubblicamente e senza neppure mettere l'ombra del dubbio. Chi ti legge dall'esterno cosa pensa? Che tu sappia chissà quali cose. Quindi il numero uno non era un diktat, era solo una constatazione, rivolta a te e soprattutto a chiunque legga questo thread.



Parlando di Lulu.com non abbiamo dato a te dell'ignorante (che tu abbia "pubblicato" su Lulu.com lo riveli tu adesso, non l'abbiamo fatto certo noi), abbiamo sono detto che chiunque è in grado di autopubblicarsi lì, e dunque le cose che escono in quel modo non hanno alcun rilievo sotto nessun punto di vista editoriale, perché non c'è una scelta da parte di un editore, non c'è un confronto critico e professionale e nient'altro. E' come scendere alla tipografia sotto asa e farsi stampare quello che si è scritto, che valore può mai avere? Si intendeva questo, in senso generale, non era rivolto a te.
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CRU Oiram - Natale Figura

Io sono Oiram
Sono Oiram, Condomino Rappresentante Ufficiale (CRU) di Rodion, capitale del IV settore Galattico. La mia Nave ha avuto una grave avaria e sono fermo in questo piccolo sperduto spazioporto mentre dovrei raggiungere Stellaris dove mi aspetta Serèl la mia fidanzata. Qui, dove sono adesso, tutti parlano della fine ingloriosa della Nave Iliade, catturata da un poliziotto spaziale mentre il suo equipaggio si è autodistrutto e del fatto che troppe navi pirata in questa parte dello spazio stanno rallentando i viaggi con Navi commerciali disarmate. Corre voce, però, che c’è in orbita una nuova grande Nave che potrebbe fare al caso mio. Potrei tentare di entrare mentalicamente in contatto col suo Computer di bordo per segnalare la mia presenza al Capitano. Lo posso fare solo con i computer di ultima generazione, soprattutto quelli superpotenti che posseggono propria personalità. Chissà, forse il Capitano mi consentirà di salire a bordo per permettermi di raggiungere almeno un pianeta provvisto di terminale Isotransfer. Io, Oiram, posso trasmettere il mio pensiero nello spazio fino ad un parsec di distanza e posso anche colloquiare con bi-cervelli del tipo Ghoulz uguali al mio anche a distanze maggiori di otto-dieci volte, quando vengo assistito dalle potenzialità cripto-brain che acuni Computer attuali posseggono. Però non sono in grado ‘leggere materialmente’ i pensieri di menti non certificate ma soltanto ‘catturare’ i loro impulsi sensoriali.
Bene, questa Nave è più vicina di quanto pensassi. Cerco di mettermi in contatto direzionale con il suo Computer centrale così mi presenterò al Comandante per spiegargli le mie difficoltà e chiedere se mi autorizza a salire a bordo e che cosa dovrò fare poi per compensare il passaggio che mi occorre: lavorare con le mie capacità cerebrali o pagare? I Galatto Crediti Garantiti (GCG) non mi mancano ma se è lo stesso le mie capacità psicosensoriali saranno a disposizione della Nave.
“Computer, mi senti?” “.......” “Computer, sono Oiram, CRU di Rodion, mi senti?” “Sì, ti sento, ti sentivo anche prima ma non ti eri presentato... qui Hal della Nave Delos WMI 1”. “Computer Hal, mettimi in contatto con il Capitano della nave. Ho una richiesta per lui”. “Per favore, si dice... Non trovo il tuo nominativo nei miei microcircuiti ma riferisco e se il Capitano vorrà ricevere la tua comunicazione richiamerò. Per ora aspetta”. Caspita, un Computer ‘volitivo’.
Un’ora è trascorsa e volevo ritentare il collegamento quando mi giunge mentalmente: “Oiram, vecchio mio, che cosa ci fai qui così lontano dalle tue zone? Sono Stronzo, il Maggiore Stronzo, ricordi? All’epoca ero il tuo amico il Tenente Stronzo. Rammenti quella bisboccia galattica che abbiamo fatto insieme quando hai lasciato il Seminario di San Piovanante per darti alla politica?...” “Caspita, Stronzo, ma certo che me lo ricordo ancora, vecchio satiro, e se lo ricorderanno certamente anche le due ragazze terrestri che avevi circuito... Quanto tempo... Dove sei? Da dove chiami?” gli mentalizzai affettuosamente di risposta. “Sono qui sulla Nave Delos WMI 1 e, appena Hal ha parlato di te al Comandante, gli ho riferito chi sei. Sebbene siamo in una situazione di pericolo per via di una Nave pirata, ha acconsentito a farti salire a bordo, col vincolo di rimanere nella zona che ti sarà assegnata finché non ti avrà parlato personalmente. D’accordo? Adesso resta fermo per due minuti così che Hal possa tracciarti. Un raggio traente ti porterà a bordo. Per ora non potrò venire a rilevarti ma tu attendi fiducioso. A dopo amico Oiram”.
Sono giunto a bordo, in questo cubicolo spoglio. Mi incuriosisce la struttura di questa Nave, che mi ricorda vagamente quella dell’Incrociatore Spaziale Durnesit del mio pro-avo Jorgwen il Ghoulz, dal quale ho ereditato parte delle mie capacità. Sono passati venti minuti e mi sono stufato di attendere in piedi. Senza urtare la suscettibilità di nessuno né incorrere in eventuali sanzioni, decido di dare un’occhiata intorno. In fondo non sono né un terrorista né un pirata e poi qui mi conosce bene Stronzo, il Maggiore... Mi muovo e vado in giro con cautela dovuta alla mia ignoranza dei luoghi che attraverso e sto cercando di orientarmi in tutti questi corridoi e cunicoli e scale mobili che si presentano all’improvviso. Cartelli indicatori non ce ne sono ma vedo sopra i varchi delle blindoporte numeri identificativi che segnalano qualcosa all’interno... Devo chiedere lumi, prima di avventurarmi a entrare in posti che non mi sono ancora permessi: in fondo sono appena arrivato. Ma come raggiungere la Sala Comando? Ho proprio ora incontrato una ragazza (belloccia, il tipo che piace a Stronzo) che mi ha sorpassato in fretta, lasciandosi appresso una scia di buon profumo di cucina che mi solletica le narici e agita lo stomaco. Va in fretta, quasi che abbia una meta precisa da raggiungere per fare chissà che cosa. Mi è sembrata molto nervosa e imbronciata. Ora le corro dietro e le chiedo come fare per arrivare dal Capitano. “Ehi... ferma... voglio soltanto farti qualche domanda”. Non mi azzardo certo a infastidirla... anche perché potrebbe capitarmi quello che è successo a quel bellimbusto CRU di Giapeto, il pianeta bicolore, che è stato inseguito dalla mia ineffabile fidanzata con la scimitarra d’oro di suo zio, quando l’ha scoperto con le braghe calate ansimante sopra una sua cugina ‘molto’ disponibile. “Verme di Struk” lo insultava Serèl inseguendolo forsennata!
“Fermati... – grido io alla ragazza col profumo di cucina – Voglio solo che tu mi dica come raggiungere la Sala Comando di questa enorme astronave...”. Ma guarda, non mi risponde neppure e si allontana correndo in un corridoio laterale. Forse le hanno fatto impressione le mie due cornine rosse ritorte? (sono il retaggio della mia discendenza Ghoulz). Eppure sul mio pianeta piacciono tanto alle ragazze. Non mi era mai successo prima. Proverò a mandare un segnale mentale di chiamata generale... qualcuno ci sarà più disponibile di lei alla ricezione. Mmmm... nessuna risposta mentalica... “Computer Hal – dico ad alta voce – mi sono perso. Dammi indicazioni, PER FAVORE, su come raggiungere la Sala Comando”. “Va bene, prego... ti guiderò per ora alla sala di attesa, dove sarai raggiunto da qualcuno dell’equipaggio”. “Ok – dico – scusami”. Mai visto computer così permalosi. Il mio supercomputer galattico Blue-Gene-14/P è più ossequioso. Seguo le indicazioni di Hal. Ho raggiunto la sala e sto seduto in attesa. Ho a disposizione videolibri e videogames... e aspetto.

CRU Oiram

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Da: "Racconti 2009-2011" di Natale Figura
http://stores.lulu.com/store.php?fAcctID=3740167
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L'AVVENTURA DELL'HORROR DELOS. Salvo

Si avvia a conclusione la tormentata selezione dei "365 racconti horror per un anno". Bella iniziativa editoriale di Franco Forte, Direttore edtoriale dell'omonima rivista e che ha visto la partecipazione di un bel gruppetto di scrittori del nostro SPLENDIDO Italianfantasticgroup. Il sottoscritto, Valeria Nitto, Stefania Auci, Francesco Grimandi, Paolo Leonelli, siamo scampati al massacro; sorte peggiore hanno avuto Natale e Cecco!. Cos'è successo? Non me lo so spiegare davvero; perciò metto questo post che vorrei fosse l'incipit per un dibattito serio(ma anche un npo' ironico) sulle cause dell'esclusione dei due più valenti scrittori(lo dico senza tema di smentita) del nostro gruppo. Diciamo intanto che io e Valeria siamo partiti bene e insieme con una tattica da "assaltatori". La selezione iniziava il 20 Novembre 2010 ebbene, io e Valeria, coi racconti pronti già da giorni, editati l'uno sull'altra(metaforico...sporcaccioni!!), li abbiamo postati subito dopo la mezzanotte del 19 e difatti al mattino erano tra i primi 4 postati. Abbiamo impiegato poco per essere selezionati. Io in articolare ho dovuto discutere fin dall'inizio con la Redazione per far capire cosa fosse la Tragedia Greca(si parlava del Minotauro, di Minosse e Pasifae, di mito greco). Tanto che qualcuno ricorderà che alla fine postai un articolo sul mio Blog("Ma allora ditelo"), quando fu contestata a Valeria la location Siciliana. Dovette, obtorto collo, mettere una location "Nordica"(Torino mi pare), e allora fu accettato.
Tra me e Valeria è da novembre che c'è del... tenero(che avete capito??), nel senso che i nostri scambi epistolari e di SMS sono stati  anche deci-quotidiani e i risultati sono stati splendidi anche perchè due nostri amici sono entrati con dei racconti editati da noi due.
Discorso diverso con Lino che è partito tardi perchè poco convinto, forse dell'iniziativa ma di più, perchè preso nella ruota dell'editoria dei NOSTRI racconti. Ciò ha influito  determinando una fugace collaborazione tra me e lui, "siamesi di penna" e soprattutto per l'esaurirsi di temi validi da proporre. Nonostante tutto Lino ha scritto degli horror veramente eccezionali. Stilisticamente impeccabili e con trame sofisticate e uniche.
Scartato sistematicamente, nonostante i pareri unanimemente positivi di tutti gli amici e non, lettori.
A questo punto Lino ha deciso di disertare l'evento. E non posso dargli torto, perchè anche io ho capito che i criteri di selezione erano quanto meno... "balzani". Assistevo infatti a passaggi di vere "ciofeghe"(mi si passi il termine) e bocciature di piccoli capolavori:Lino in testa.
Stessa sorte ha avuto sinora Cecco, che ha corso da solo (senza l'edit di nessuno di noi), al punto che alla fine sembrava una guerra tra lui e la Redazione.
Una cosa che voglio "denunciare"qui, è stata la procedura di lettura degli scritti. Più volte la Redazione ha affermato che leggevano senza nessun ordine cronologico di arrivo: E NO, SIGNORI COMMISSARI, è ingiusto, tecnicamente gravissimo e,aggiungo, AMORALE.
Avrebbe senso una tale procedura, qualora i posti fossero INFINITI, ma in una selezione di 365 di cui 50 riservati, è FONDAMENTALE che si dia precedenza di lettura agli scritti giunti prima perchè a parità di tema(e capita prima o poi che si parli di vampiri o zombie) e di stile, è normale che ne passerà uno solo, onde evitare doppioni. E logica vorrebbe che passasse quello postato prima. O sto affermando una cosa non vera?
Anche la bravissima Sara Radicia è stata scartata più volte e alla fine con un VAFF... ha deciso di non provare più.
Questa in sintesi, ma mica troppo, l'odissea del nostro gruppo. Il vanto è che oltre quelli promossi ci sono alcuni polthergheist, promossi pure ma di cui per adesso tacerò.
Aspetto un vostro contributo sostanzioso che si potrebbe postare anche nel GIORNALE che Ale sta predisponendo.
Un abbraccio a tutti.
Salvo
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I RACCONTI DI CECCO: LETTO, REDATTO E SOTTOSCRITTO.

LETTO, REDATTO E SOTTOSCRITTO di Francesco Martino

Incapace. Incompetente. Ma ha capito che se ne deve andare? – e poi ecco il baldanzoso nipote della sclerotica del 4 che mi punta il dito con tono sprezzante e senza rispetto mi urla in faccia – Lascia le carte sul tavolo e vai a farti fottere.

A me che in quel fabbricato ci ho dato l’essere per sette anni sopportando di tutto e senza nemmeno riuscire a prendere il mio compenso e che mosso a compassione sono sempre passato sopra tutti i ritardi nel pagare e ora… bel ringraziamento.

Come un automa gli afferro il polso e lo torco fino all’avambraccio con una rotazione di 45° e mentre il bamboccio sbatte il muso per il dolore proprio sul verbale aperto, cominciano ad arrivare le grida di allarme dalle altre cornacchie. Ma non gli lascio il tempo di reagire. Afferro la lunga criniera della bionda del piano terra e la sbatto due volte sul tavolo e quando la rialzo gli schizzi di sangue zampillano tutto intorno che è un piacere. Poi è la volta degli altri due uomini presenti, che dirigono verso la porta. Sgambetto il primo che cadendo conficca la testa nel lungo chiodo dove appendo le chiavi condominiali ed afferro il secondo per le orecchie spingendolo con forza a battere contro il muro. Al secondo urto si affloscia mentre fuoriesce materia grigia dal cranio sfondato. Adesso le tre vedove, le ultime, che gridando cercano di passarmi alle spalle. Ma che cretine. Impugno la biro e la conficco nell’orbita destra della bisbetica del 2 che cade indietro addosso a quella del 3. Le scavalco ed afferro per il collo la proprietaria del 5, una che non paga le rate da un anno ed è venuta pure ad inveire contro di me, una rapida torsione e sento le ossa spezzarsi sotto le mie dita. Mi giro e con un micidiale calcio di destro sfondo il cranio di quella a terra. Il bamboccio intanto è arrivato alla porta ma è inutile. Con un balzo sono su di lui e la richiudo sull’altro braccio le cui ossa vanno in pezzi. Lo afferro mentre ulula di dolore e lo riporto al tavolo.

L’assemblea all’unanimità approva le dimissioni irrevocabili dell’amministratore. Letto… - prima violenta schiacciata di testa sul verbale –… redatto… - seconda con fratture multiple della scatola cranica - … e sottoscritto! – terza ed ultima con la testa ridotta ad un ammasso di poltiglia sanguinolenta ed informe.

I RACCONTI DI CECCO: TUTTE LE FESTE PORTA VIA

TUTTE LE FESTE PORTA VIA di Francesco Martino


Sono inerme, steso a terra sanguinante per i tagli al volto, alle braccia e al torace, a un passo dalla morte. Eppure, invece di rivedere in un flash la mia esistenza, l'immagine che si forma nei miei pensieri è il volto della medium, mezza decrepita ma con sorriso smagliante da far invidia a una diva del cinema, che mi hanno affiancato in centrale per la soluzione del caso del serial killer natalizio che qualche giornalista idiota aveva soprannominato Babbo Mannaia.
Beh… uno che fa a pezzi tutte le sue vittime come avrebbe dovuto chiamarsi? L'Affettatore Natalizio?
Nonostante il mio scetticismo, quella tizia dall’età indefinibile era riuscita in pochi giorni ad individuare, lo sa lei come, il luogo dove era segregata l’ultima vittima.
La sorpresa che mi aspettava una volta fatta irruzione in quell'appartamento all'ultimo piano fu ritrovarmi sulla scena dell'ultimo delitto, con la povera vittima ormai agonizzante legata e imbavagliata su una sedia al centro dello stanzone.
Quel che era peggio però ancora dovevo vederlo.
Colui che si girò verso di me, il killer, era il mio collega Frank col quale avevo lavorato fianco a fianco negli ultimi quindici anni.
Forse per questo ero stato preso alla sprovvista e sopraffatto come un pivello un istante dopo.
E ora le parti si erano invertite.
Io ai suoi piedi pesto e sanguinante, lui pronto a sferrare il colpo decisivo.
Dalla bocca impastata di sangue e saliva non mi esce un solo commento e lui tantomeno si è sprecato in spiegazioni.
Lucido e silenzioso, si erge sopra di me col braccio alzato ormai pronto a calare la mannaia un'ultima volta quando, anche se siamo in un capannone chiuso, ci investe una violentissima ed improvvisa corrente d’aria fredda che mi attraversa anche le ossa.
Sulla scena compare una sagoma indistinta che dall’alto piomba sulle sue spalle travolgendolo.
In meno di un secondo le mie palpebre annebbiate dal sangue lo vedono svolazzare dapprima verso l’alto, per poi ricadere pesantemente a terra, un paio di metri più in là, in una posa scomposta.
Attorno al suo corpo prende ad allargarsi pozza di sangue che cola copiosamente dalla testa spaccata in due da un preciso colpo della mannaia che brandiva poco prima su di me.
Quel che i miei occhi vedono nell'immediato, la ragione rifiuta d'intendere.
Sospesa a mezz’aria volteggia su una specie di grossa ramazza una figura che ha un che di familiare.
Pur non riuscendole a scorgere il volto sotto il cappellaccio, per un breve momento, i riflessi della luna dal finestrone alle sue spalle illuminano l'oscurità mostrandomi un sorriso che mi stupisco a riconoscere.
Puoi dirti fortunato giovanotto – mi dice la voce gentile della medium - potrai raccontare che il vecchio detto della befana che tutte le feste porta via, stavolta oltre al bello delle feste ha portato via anche il brutto.
E dopo quell’ultima parola perdo i sensi!

SE IL FUMETTO TI PORTA A RIFLETTERE... DYLAN DOG 292


Copyright by Sergio Bonelli Editore SpA


Il famoso "Indagatore dell'Incubo" (che quest'anno spegnerà le 300 candeline nella serie mensile) ha chiuso il 2010 con una storia controversa, una storia che non si vedeva da tempo tra le sue pagine (fatta eccezione per "Mater Morbi" che è uscita giusto 12 mesi prima) e che mi ha riportato al passato, a storie come "Johnny Freak", storie controverse che toccano con intelligenza e fantasia dei temi dolorosi che accompagnano l'umanità nella vita di tutti i giorni.
Stavolta, Dylan, con l'aiuto della medium che tanto lo ha a cuore, è alle prese con il fantasma di una giovane che non trova pace e che coinvolge nella sua vita precedente quanti entrano in contatto con il suo ectoplasma.
La storia ha inizio con una visita nella sua casa di Craven Road da parte di un gruppo di adolescenti, i quali, dapprima con le buone, poi, con le cattive, si fanno accompagnare fuori città in una radura ai margini della statale dove avviene un bizzarro incontro.
Il nostro Dylan si ritrova ad avere a che fare con il fantasma di una loro cara amica che staziona in quel posto, mattina, mezzogiorno e sera, dal giorno in cui un incidente d’auto le ha tolto la vita pochi metri più in là. La cosa singolare, oltre alla permanenza in quel luogo, è che, pur essendo intangibile, riesce a trasmettere a quanti entrano in contatto col suo ectoplasma i ricordi della vita trascorsa, generando delle vere e proprie reincarnazioni temporanee che, però, “impattano” con il regolare svolgimento delle vite di ogni malcapitato. Come se tutto ciò non bastasse accade che ogni giorno un secondo fantasma appaia sulla scena, un cagnolino, il quale, ringhiando ed abbaiando emerge dalla radura circostante ed assale il primo spettro addentandogli la gamba e procurandogli delle vere e proprie lacerazioni che dopo la sfuriata e la sua temporanea scomparsa guariscono come nulla fosse.
Sebbene i ricordi della ragazza cominciano ad interagire con i pensieri e le azioni dello stesso Dylan col quale è venuto in contatto, questi riesce, attraverso una serie di intrecci narrativi, a giungere a capo della vicenda, coinvolgendo l’investitore della ragazza, che reo confesso sta scontando in carcere la condanna e non riesce a darsi pace per l’accaduto, una sua vecchia conoscenza (in tutti i sensi), la medium Madame Trelkovsky e, per finire, una signora attempata che vive nella solitudine in una casa della periferia londinese e che è il perno di tutta la vicenda.
In quella stessa radura la donna, il giorno in cui era avvenuto l’incidente mortale alla ragazza, stava seppellendo il suo cagnolino al quale poche ore prima aveva tolto la vita con le sue mani perché la povera bestiola, unica compagnia ed amicizia nella sua esistenza solitaria, era condannata a morire di lì a qualche giorno per un male incurabile. Ma appena aveva finito di seppellirlo, ecco giungere alle sue orecchie il rumore dell’incidente che pochi metri più in là aveva coinvolto proprio la ragazza. La donna oltrepassando la radura si trova davanti il corpo della giovane che in una posa scomposta ed immerso nel sangue sta ansimando gli ultimi flebili respiri della vita che sfugge. Il comportamento della donna, la quale, vedendo la gravità della situazione, ha ritenuto che nessun soccorso sarebbe giunto in tempo, la porta ad agire nel medesimo modo come per il suo animale domestico e le toglie gli ultimi respiri di vita.
I due spiriti inquieti dopo il racconto sembrano acquistare la consapevolezza del perché della loro forzata permanenza su questa terra, il cagnolino balza docilmente in grembo alla giovane ed ambedue, salutati i loro amici, attraversano il confine che li accompagna a miglior vita.
Il tema attuale che vien fuori dagli ultimi balloon del fumetto è, dunque, quello dell’eutanasia, inteso come estremo atto d’amore. Un tema che, purtroppo, nella vita di tutti i giorni ha coinvolto e coinvolge tantissime persone nei loro affetti più cari, un tema che l’autrice (la bravissima Paola Barbato) ha affrontato con intelligenza sapendolo inserire (cosa non facile) nel contesto di storie di un personaggio il cui mondo di “nuvole parlanti” spazia tra gli orrori ultraterreni e non: una storia di fantasia dunque, ma fatta apposta per riflettere sulla cruda realtà!
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L'intervista semiseria

"A proposito di Maximilian ... dialogo intervistato ai due autori ... raccontato da uno dei due"
Cecco (Francesco Martino) - Correva l'anno ....
Peppe (Giuseppe Cristiano) - Che fai parli al passato?
C - No, era per creare l'enfasi.
P - Meglio di no, guarda, noi scrittori del genere fantastico passiamo già per mezzi paranoici, prova un'altro inizio.
C - Vabbeh .... allora ..... una sera di dicembre dello scorso anno ....
P - Ecco, vedi! Così va già bene.
C - Oh che bello ... allora ... dov'ero rimasto ... ah, sì, dicembre dello scorso anno ....
P - L'hai già detto questo ...
C - Lo so ma se non finisco qua andiamo avanti fino alla notte dei tempi.
P - Sono d'accordo con te, vai pure.
C - Avanti fino alla notte dei tempi?
P - Beh, se vuoi, ma posso farti compagnia fino ad un certo tratto ... poi avrei alcune cose da fare.
C - Che fai sfotti? E meno male che l'intervista è dal mio punto di vista.
P - Mmmhhh.....
C - Che c'è, non ti senti bene?
P - No .... fame!
C - Ma se abbiamo mangiato poco fa!
P - Appunto ... ecco perchè ho ancora fame, il ricordo è troppo vicino.
C - Ah .... allora sarò breve, ok?
P - Va bene, vai pure non preoccuparti.
C - E andiamo allora .... dunque l'idea era una delle tante non realizzate che avevi nel cassetto, me la mandasti tra una mail e l'altra ed io te la rimandai con qualche variante che mi era venuta sul momento.
P - Sì, esatto.
C - Poi tu il giorno dopo mi telefonasti dicendomi se me la sentivo di proseguire il progetto a quattro mani, ricordi?
P - Sì, sì, mi ricordo.
C - A gennaio feci il mio primo volo aereo Roma-Stoccolma e ti raggiunsi ed in due giorni buttammo giù il soggetto del primo episodio e le idee di base per i successivi ... e si cominciò da subito a scrivere.
P - Era buona la pasta al tonno che ci preparammo.
C - Ma pensi solo a mangiare ... comunque hai ragione proprio buona, e ci mettemmo anche una scatola di pelati ... anzi no era polpa di pomodoro se non ricordo male.
P - Sì era proprio quella, alla prima occasione dobbiamo rifarla.
C - Eh sì, quando si parla di mangiare mi trovi sempre favorevole.
P - (nessun commento e mano destra a massaggiare lo stomaco).
C - (nessun commento e mano sinistra a massaggiare lo stomaco).
P - Hai già finito?
C - Eh? ... No, no, chiudo subito che è venuta fame anche a me.
P - Ok.
C - Allora per farla breve il primo l'abbiamo già scritto ed il secondo è sulla buona strada, ed intanto si è aggiunta qualche altra idea, previsioni?
P - Mah l'estate è ormai finita quindi non è che ci si deve aspettare chissacchè dal tempo.
C - Che fai sfotti un'altra volta.
P - Ma se mi hai chiesto tu le previsioni?
C - Ecco ... appunto ... sarà la fame ... vabbeh, allora penso che posso chiudere per tutti e due dicendo che la cosa più bella è credere sempre in quel che si fa e se questo viene da comuni passioni è difficile che venga male.
P - Beh, hai detto tutto bene, allora potevi farla da solo l'intervista.
C - E perchè? Secondo te che ho fatto? Vabbeh, dai andiamo a mangiare che mi è venuta nuovamente fame.
P - Ok, ma mi sa che la polpa di pomodoro è finita.
C - Mmmhhh ... c'è l'hai la passata?
P - Sì quella quanta ne vuoi.
C - Allora stiamo a posto ... vai col tango e buon appetito a tutti!