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Wanted - "The Public Enemy" - Ricercato "Nemico pubblico"

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I racconti di Valeria - Un fiore eterno (seconda parte)




La signorina che fece da guida, per poco non fu messa da parte dall’esuberanza della Professoressa Martini, quasi si risentisse della sua gradevole presenza.
La visita, all’interno del castello, che era suddiviso in due piani, imponeva un percorso obbligatorio.
Ciò che la guida ci fece notare fu il tetto delle sale: caratterizzato da una volta a crociera centrale dove si evidenziava una chiave di volta diversa per ogni stanza, e da due volte a botte laterali.
Provai a concentrarmi su ciò che diceva la guida, mi fu difficile perché obbligata ad ascoltare i pettegolezzi delle mie amiche.
“Continua a guardare” bisbigliò Ines.
“Sei il suo bersaglio” sogghignò Licia.
Non compresi fin da subito “Di cosa state parlando?”
“Pronto? C’è qualcuno? Di Luca, chi sennò?” risposero in coro.
Sospirai, sperando che lo stato di apprensione si attenuasse. “Smettetela entrambe. Vi ho già detto che non sono interessata a tipi così superficiali.”.
“Oh già dimenticavo, tu credi nell’amore eterno” Licia con l’appoggio dell’altra amica si burlava di me.
“Credo in quello vero” dissi “durerà per sempre, anche dopo la morte.” Era inutile parlare con loro, volevo bene a entrambe ma sapevo che, certe volte, non potevo contare sulla loro comprensione.
La Martini origliò travisando l’oggetto della conversazione. “Giusto Signorina Romano, l’eternità!” si pavoneggiò quel tanto che bastava per interrompere la guida. “Per com’è stato concepito questo luogo, pare non avesse nulla a che fare né per funzioni militari né per battute di caccia. Come vedrete dalle scale a chiocciola, che conducono al piano superiore, sono disposte in senso antiorario, diverse da altre costruzioni di quell’epoca. Era uno svantaggio per chiunque voleva impugnare un’arma, costretto a usare la mano sinistra.”.
“E la caccia?” domandò un mio compagno.
“Per l’assenza di stalle” continuò la Professoressa “s’ipotizza che lo scopo di questa singolare costruzione fosse riconducibile allo studio delle scienze, come l’astronomia e l’alchimia.”
“E non dimentichiamo l’influenza dei Templari” intervenne la guida, irritata dalla costante intromissione della Martini. “Un ordine sorto all’inizio del XII secolo, che aveva come ideale quello di liberare i Luoghi Santi dagli infedeli. Inoltre erano anche abili costruttori, si pensa che l’Imperatore abbia usufruito di questa loro capacità.”.
La Professoressa Martini proprio non si voleva rassegnare e prese ancora una volta la parola “Pare che Federico abbia avuto dei rapporti tali da far pensare che, per un periodo indefinito, questo Castello fosse stata la dimora del Santo Graal. Ve ne rendete conto?”
“Sì, Prof!” rispose la classe.
“Per questo l’eternità?” domandai alla guida.
“Secondo la leggenda” mi spiegò “il Santo Graal ha la capacità di donare la vita eterna. Abbiamo testimonianza dell’influenza dei Templari come potete vedere da quello che molti definiscono fauno” indicò la chiave di volta della settima sala in cui eravamo. Era una testa barbuta con delle strane orecchie.
“Cos’è?” domandai.
“E’ lui” disse la guida “l’idolo dei Templari: il Baphomet.” Per qualche minuto restammo a fissarlo, prima di raggiungere il cortile interno. “Qui, proprio al centro, c’era una vasca ottagonale” spiegò la donna “gli studiosi sospettano che nascondesse una reliquia tanto importante come il Santo Graal. Tuttavia il rapporto tra Federico II e i Templari non è stato molto chiaro. Pare che all’inizio abbia avuto un’inclinazione pacifica trasformatasi in odio.”.
“Federico II era interessato al potere della vita sulla morte?” chiesi.
“Quale umano non lo è?” mi disse “Tuttavia, sono solo supposizioni. Proseguiamo.”
Mi soffermai, più del dovuto, a riflettere su quanto appreso. Il fascino del mistero era ciò che mi attraeva. Mi sarebbe piaciuto poter conoscere la realtà dei fatti e sorrisi consapevole che era impossibile. Fu allora che entrai, di nuovo, in quello stato di apprensione. Ma quella volta, riuscii a definire meglio cosa provavo: dolore. Non fisico, veniva da dentro, come se il petto volesse esplodere. Trattenni le lacrime che volevano manifestarsi senza controllo. Chiusi gli occhi per scrollarmi di dosso quel devastante stato d’animo. Quando però li riaprii, mi accorsi di essere sola. I compagni di classe, gli insegnanti, i turisti, la guida, si erano volatilizzati. Incombeva un silenzio assoluto. Spaventata a tal punto da voler gridare, non ne fui in grado. Iniziai a correre da una sala all’altra, salendo perfino al piano superiore, fino a quando, la sentii.
“Chi sei?” urlai in preda al panico.
Una giovane donna dai capelli dorati mi apparve; indossava un elegante abito rosso che metteva in risalto il decolleté. Quel volto, candido come quello di un bambino, era triste.
“Sono colei che subisce un incessante tormento. Era qui il luogo dei nostri incontri, a Castel del Monte, ma lui non c’è. Non mi ha mai amato.”
Le sue parole non avevano alcun senso per me. “Sei tu … che mi trasmetti queste sensazioni?” le chiesi. Il silenzio fu interrotto da un brusio di voci. La donna scomparve, e io restai pietrificata per qualche minuto prima di raggiungere il cortile dove vi trovai delle persone. Prima di rendermi conto del loro aspetto, sperai di essermi destata da quell’incubo e di rivedere i volti conosciuti dei compagni, delle care amiche, e (non l’avrei mai detto) quello dell’esasperante Professoressa Martini. Invece, vidi i presenti prostrarsi a quella figura maestosa, dallo sguardo fiero e dal portamento regale. Uomo valoroso, dal grande spessore politico e culturale, io potevo vedere Federico II. Mi accorsi soltanto dopo che, a causa dell’emozione, i miei occhi stavano lacrimando. Li asciugai in fretta quando vidi la donna di prima accompagnata da un uomo di mezza età che si rivolse all’Imperatore “Avete già incontrato mia figlia Bianca Lancia?”
“Cotanta bellezza non potrei mai dimenticarla. Si tratterebbe di un affronto bello e buono, non credete?” rispose l’Imperatore.
La giovane donna s’inchinò sorridendo. Era bella e gioviale. Che cosa poteva volere da me? Perché stavo assistendo a un tale avvenimento?
“Perché il mio amore è stato dolce e amaro” rispose Bianca leggendo i miei pensieri. “Un amore, al quale non volevo rinunciare. Una vita di tormento per godere di quella passione insostituibile.”.
Le persone scomparvero così com’erano apparse e mi ritrovai in una stanza al piano superiore dinanzi a un letto, dove due persone consumavano il loro desiderio.
“Cos’eri per il Re?” le chiesi.
“Tu sei la mia alba e il mio tramonto, l’inizio e la fine del mio essere” disse Federico II accarezzando i lunghi capelli della sua donna.
“Io non ti credo” disse Bianca divertita.
“Eri la sua promessa sposa?” sussurrai. Non ero andata così in fondo nella vita dell’Imperatore, mi ero soffermata a Castel del Monte. Ciò che vedevo però, mi spingeva a volerne sapere di più.
Bianca continuava a sorridere. Non sembrava la stessa che mi era apparsa, con il viso rammaricato “Che cosa penserebbe Isabella se ci sorprendesse?” disse al Re.
“Impossibile amore mio, non è qui” rispose l’uomo.
“Eri ... La sua ... Amante?” conclusi.
Un No! Rimbombò per tutta la sala facendomi sobbalzare per lo spavento. Il letto sparì, la sala era di nuovo spoglia. “Non ero solo quello!” continuava a dirmi Bianca, solo che non riuscivo più a vederla. Con il cuore in gola, provai a seguire la sua voce. “Ero il suo vero amore” mi disse “l’unica in grado di capirlo. Ci era bastato un solo sguardo per divenire l’uno il completamento dell’altro. Perché non capisci? Sei come tutti gli altri? Credi che io sia stata solo un passatempo?”. (CONTINUA)
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I Racconti di Salvo Prima parte



Aña Maria de Jesus Ribeiro
© Salvo Andrea Figura –2010

Lucio Righi, ruvido e muscoloso bagnino di Rimini, nato ad Argenta, una quarantina di chilometri a Nord Ovest, nella valle del Comacchio, stava sulla torretta di legno rosso come tutti i giorni. Giugno e Luglio erano trascorsi indenni al Lido “Onde di Sangiovese” e l’inizio d’Agosto, si era già al pomeriggio del 4, non prometteva sfracelli. Oddio… gli unici li combinava lui, grande tombeur de femmes di silfidi Britanniche in caccia del maschio latino e di stangone tedesche in cerca del liebe italiano; quello che le faceva letteralmente sciogliere come sorbetti al sole.
Erano questi i suoi pensieri quotidiani su cui si rodeva e crogiolava al caldo sole di Romagna. E fu quello, che credé di vedere baluginare tra le onde piatte di quel meriggio: un sole rosso che si tuffava lento nell’acqua. Si tuffava e riemergeva, dentro e fuori e… «Quello non può essere il sole – disse a voce alta gettando via la Marlboro appena accesa – il sole entra in acqua e basta!».
Non si scompose. «Accidenti alla fretta, potevo gustarmi la sigaretta oramai», prese il binocolo che inerte e annoiato come lui, ciondolava dal chiodo lungo, mise a fuoco e vide che quello che un attimo prima gli era parso un sole, adesso era un brillante, una pietra preziosa, un rubino di dimensioni mai viste.



E il gioiello entrava e usciva dall’acqua, lento come… un lento di Frank Sinatra. Quel prezioso era attaccato a un dito. Adesso, riconoscere che dito fosse, da quella distanza, anche con l’ausilio di un binocolo… ci sarebbe voluto il “Gino Pollice” del Giallo che stava leggendo.
Quasi controvoglia prese la sua tavoletta d’emergenza da cui pendeva, come la coda di un setter, una bella cima di circa dieci metri, saltò giù dalla torretta, per far prima e iniziò a correre verso il bagnasciuga.
«Maledetta anguria – smoccolava mentre il sopraffiato gli prendeva il cuore – e maledetto il tiramisù della Graziella. Ma con cosa l’ha fatto, con latte di balena da quanto pesa nello stomaco?».


Continuò a correre ché l’acqua gli arrivava ancora ai polpacci, senza perdere di vista quel segnale: l’anello rosso che era a pelo d’acqua, quasi galleggiasse come un sughero.
Finalmente si poté tuffare e il suo elemento naturale, come ad un delfino, lo fece andare velocissimo. Una ventina di bracciate mentre i piedi 45 frustavano l’acqua, come le eliche dell’Andrea Doria, e fu a ridosso del suo bersaglio. Afferrò quella mano inanellata e nessun cenno di vita si propagò al suo braccio teso e muscoloso. Rigirò il volto di quel corpo di donna che aveva tirato su e lo colpirono da subito due grandi occhi neri semiaperti e non del tutto spenti e una lunga chioma unta e riccioluta. Poggiò delicatamente quel capo sulla tavola, traendola così fuori dall’acqua e iniziò il viaggio di ritorno verso la riva.


Il sole adesso si era abbassato sull’orizzonte ma non accennava ancora a volgersi al tramonto. Mancavano venti minuti alle diciannove, calcolò che avesse ancora almeno un’ora di sole. Lo colpì però il deserto che stava per trovare in spiaggia. Tutti i bagnanti, centinaia, forse migliaia, che fino a un attimo prima avevano affollato il lido, adesso erano spariti e con loro sedie ed ombrelloni.

La spiaggia aveva assunto l’aspetto di una caletta selvaggia, liscia e ondulata senza traccia alcuna di impronte umane sull’arena, tranne quelle del suo piede 45. Riuscì appena a intravvedere allontanarsi quelle belle chiappe della Lorena, che col suo costume brasiliano fucsia aveva magnetizzato la spiaggia intera, ché subito sparirono dietro gli eucalipto che costeggiavano la spiaggia.
Trascinò agevolmente a riva la donna tratta in salvo e si fermò un attimo a prender fiato.


Quella donna non era morta, come temeva dal momento in cui l’aveva avvicinata, e un filo di respiro faceva ancora sollevare il suo petto dai seni robusti e sodi. All’apparenza poteva avere appena ventotto-trenta anni. Era vestita in un modo strano… pareva una hippie degli anni settanta. Sopra portava una casacchina color corda cotta, al collo un fazzoletto di panama rossa come quello degli Scout e la gonna, ampia, era di lino trasparente, bianco ma macchiato di sangue e fango. Un leggero gonfiore al basso ventre attirò la sua attenzione. Pareva quello di una donna in gravidanza. Era appena accennato ma lui non era un medico e non si sentì di verificare; per quello che avrebbe potuto capirne.
Ai fianchi, una cintura di stoffa grezza teneva legato un cilindro, lungo una trentina di centimetri Era molto vecchio e pieno di graffi; fatto di cuoio, cerato e poi ingrassato perché resistesse all’acqua. Sembrava un unico blocco e in cima, il coperchio era incollato al resto del tubo con un cercine di ceralacca così da garantirne la chiusura ermetica.
Osservò ancora la donna; per un momento s’era dimenticato che era un bagnino e che il suo principale scopo doveva essere la salvaguardia della vita di quella poverina. Si chinò accostando il suo, al bel volto dell’annegata e richiamò alla memoria la sequenza delle manovre di rianimazione. Respiro e polso carotideo c’erano. Non c’era però lo stato di coscienza. Si voltò per ordinare a qualcuno dei presenti di chiamare il 118 ma si accorse che era solo, terribilmente solo.
Per la seconda volta sembrò dimentico del suo mestiere. ‘In fondo la donna respirava da sola – pensò – si sarebbe ripresa presto. Chissà cosa contiene il cilindro’.
Tirò fuori dallo zainetto dell’emergenza che portava a tracolla, un coltello subacqueo e fece saltare la ceralacca. Guardò nel foro come fosse il cannocchiale di un antico corsaro e vide occhieggiare un foglio di carta giallina, come l’antica carta paglia, arrotolato intorno a un altro foglietto più piccolo. Questo si rivelò subito come la mappa di un luogo che subito non riconobbe; quello più grande, invece, una volta srotolato mise in mostra una bella ma veloce scrittura eseguita con inchiostro nero ancora intatto. L’acqua non era penetrata nella custodia.


Si guardò intorno alla ricerca di presenze non gradite. Si sentiva un ladro nel frugare quelle cose non sue; prese a leggere: “ 2 Agosto del ’49. Peppino carissimo, stammi bene.
Il latore della presente è persona a me di grandissima fiducia e affidabilità, dunque ti prego di avere riguardo per lei come massimamente di più non potresti. Come di certo saprai Roma è caduta, nonostante la strenua resistenza di Villa Corsini e solo fortunosamente siamo riusciti a sfuggire alla caccia dei Francesi. Siamo però, viceversa, braccati dagli Austriaci al comando del feldmaresciallo d’Aspre ed è una caccia all’uomo non meno dura. Nello sfondo nebuloso si intravvedono belve fameliche sottoforma d’Austriaci, inseguenti la preda. La buona Romagna per fortuna è stata di cuore e animo nobile, come i suoi abitanti e così attraverso le paludi di Comacchio ci muoviamo come bisce d’acqua: sfuggenti, viscide, rapide. Di casolare in casolare, di villa in villa, non trovo che applausi...



Emma

Emma – 1ª parte
(da “I racconti del Bagnino di Rimini”)
© Natale Figura
Emma era davvero felice: Saverio l’aveva chiesta in sposa, come lei aveva presagito da tempo e proprio come aveva sempre sperato nel suo cuore.
Saverio si era presentato all’improvviso quella tarda mattina d’estate nella sua brillante divisa di Dragone del Re con la lucida sciabola al fianco e il cappello in mano. Aveva bussato con forza alla porta della sua casa e chiesto di lei a Maria, la camerierina che aveva aperto.
L’aveva attesa impaziente, com’era sempre, nel salottino azzurro camminando su e giù sul vasto tappeto iraniano, fermandosi a volte a spaziare con lo sguardo fuori, nel giardino fiorito, imponente nella figura, austero sotto i baffoni neri, innamorato fin nel profondo degli occhi scuri.
Emma amava tutto di lui, i suoi modi rustici e forti da militare il suo sguardo franco e diretto che s’inteneriva guardandola, la sua voce profonda che pareva ammorbidirsi parlandole.
Ora sapeva spiegarsi quel languore che la prendeva dentro quando lui era lontano e quel fuoco che le scaldava le membra quando le stava vicino. Amore... ne era certa, si trattava di Amore, quello maiuscolo, quello eterno, quello infinito.
Quello che lei mai aveva provato prima in tutti i suoi vent’anni della sua vita felice.
Era entrata rapida nel salottino e l’aveva colto di sorpresa mentre sostava a guardare fuori dal finestrone. Si era voltato di scatto, con due lunghi passi l’aveva raggiunta e senza parlare l’aveva presa tra le braccia e stretta a sé fissandola negli occhi col suo sguardo magnetico. Solo un attimo e poi con un’ombra di sorriso nel volto austero le aveva detto: «Emma, mia cara, mia dolce Emma, vuoi sposarmi?» Non aveva pensato affatto e radiosa in volto «Sì» gli aveva risposto in un soffio.
«Subito... domani stesso» aveva continuato lui ora con un’espressione grave negli occhi infilandole all’anulare un anello ornato di un enorme rubino. «Mio zio Salvo, il Vescovo, ci aspetta per domani pomeriggio nella Cattedrale... »
«Ma perché, perché amore mio così di fretta... perché non domenica alla funzione del Santo? Solo quattro giorni ancora per confermare ai parenti e agli amici, che si aspettavano già questo evento» gli rispose carezzando l’anello.
«Perché domenica, Emma, mia cara, sarò già partito da Rimini per raggiungere il mio Reggimento in vista della guerra contro gli Austriaci per la liberazione di Venezia. Non abbiamo altro tempo davanti a noi e mi sono già pentito di non averti chiesto prima in sposa... Ho predisposto tutto ed anche i tuoi sono d’accordo... volevo soltanto il tuo assenso». Così concluse Saverio con una sommessa nota di dolore nelle sue parole.

Emma era davvero infelice: da quando Saverio era partito, e con lui anche Lino suo fratello non ancora una lettera, un messaggio... E quella domenica, due giorni dopo il matrimonio, a messa per il Santo, aveva pregato a lungo inginocchiata davanti all’altare maggiore, la veste candida e un bianco velo a coprirle i capelli. ‘Dio, ti prego nella tua infinita bontà, rendimelo sano e salvo...’ così mormorava a se stessa.
Il Vescovo, dal pulpito soprelevato in bronzo istoriato con le gesta del Santo, rivolgeva parole di consolazione a lei e a tutte le donne i cui mariti erano ormai ai confini del Veneto in attesa di ordini per la guerra imminente. Ma più che le parole era il tono con cui le aveva pronunciate che recavano conforto alle orecchie ed ai cuori delle presenti in massa al sacro rito.
Erano preparate, le donne, al distacco dai mariti che erano accorsi ai bandi di chiamata alle armi, forse tutte tranne Emma... troppo fresca sposa per accettare ed ammettere che il suo amore appena trovato era già così tanto lontano.
Emma coi suoi vent’anni così colmi di gioia ed ora pieni di mestizia pregava e i suoi occhi gonfi di lacrime non le permettevano di vedere intorno a lei il mondo reale, distaccandola da tutto e da tutti.
‘Perché, Dio... perché mi hai resa così felice... ed ora così crudelmente addolorata’ rimuginava talvolta nella mente.
E subito si pentiva di questo suo sfogo e tornava a pregare Dio, Gesù, la Madonna e tutti i Santi, come le aveva insegnato sua madre, affinché avessero pietà del suo strazio e le concedessero la gioia e la felicità a lungo desiderate e finalmente trovate.

Il Reggimento dei Dragoni del Re avanzava compatto coi cavalli al passo in tre Squadroni schierati in fila a meno di un tiro di schioppo tra loro. Le linee nemiche erano ormai vicine. Il Colonnello comandante aveva avuto l’ordine di raggiungere i Fanti i quali, attraversati da sud i confini del Veneto avevano raggiunta la piana e si erano attestati tra i cespugli e i sassi in attesa dei rinforzi promessi. In quella piana la Cavalleria avrebbe avuto buon spazio di manovra compiendo al galoppo le cariche contro le linee nemiche che si intravedevano in fondo e poi i Soldati, assaltando all’arma bianca, avrebbero avuto il loro momento di gloria sparando, colpendo, trucidando, infilzando i nemici e, si sperava, volgendoli in fuga verso le terre dell’alto Adige.
Così avevano pianificato i Generali piemontesi del Consiglio di Guerra nelle retrovie.
E così auspicavano i Volontari toscani e di tutt’Italia accorsi alla chiamata alle armi e i Patrioti lombardi, veneti e friulani confluiti nelle loro fila.
E così desideravano anche in cuor loro i Veneziani rimasti entro le mura cittadine in attesa della tanto sospirata liberazione e ricongiungimento col resto d’Italia.
(continua)
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I racconti di Valeria - Un fiore eterno (parte prima)



Non mi ero mai interessata né di arte né di tutto ciò che era relazionato a essa.
La gita scolastica del terzo anno superiore prevedeva una visita ad Andria; in provincia di Bari, presso Castel del Monte. Che cosa sapevo di quell’incantevole esempio di architettura? A questo potevo rispondere. La Professoressa Martini, insegnante di Storia, era molto pignola a riguardo. Avevo dovuto studiare la storia del castello, apprendimento testato, con una lunga e agonizzante interrogazione. Tuttavia, ero sorpresa di come il fascino misterioso di quel luogo aveva attratto la mia curiosità.
Edificato tra il 1229 e il 1249, per volere di Federico II di Hoenstaufen, lo “stupor mundi”, era considerato una struttura originale intrisa di significati simbolici. Purtroppo negli anni subì uno stato di abbandono; usato come carcere o come rifugio per briganti, prima di essere acquistato dallo Stato Italiano che commissionò le opere necessarie per il restauro. Nel 1996 entrò a far parte del Patrimonio dell’UNESCO, grazie alle sue forme ben proporzionate. Peculiarità fondamentale del castello era nella struttura ottagonale, con otto torri, numero che compariva in molti particolari. Alcuni storici sostenevano che il castello riflettesse l’anima di Federico: come se lo stesso Re, abbia voluto imprimere in ogni dettaglio la sua personalità poliedrica. Che Federico II amava la Puglia si sapeva per certo, che abbia voluto coltivare ciò che veniva definito fiore di pietra, era riconducibile a quel sviscerato sentimento.
“Guarda Delia, Luca ti sta fissando da parecchio” mi sussurrò Ines all’orecchio.
“Ignoralo” fu la mia risposta.
“Per te è facile snobbare un bel ragazzo, vero?” intervenne Licia affacciandosi dal sedile posteriore.
“Non sono interessata a chi gioca con i sentimenti altrui. Cambia fidanzata ogni due giorni” spiegai.
“Vale anche solo per un’ora” Ines era di tutt’altra opinione.
“Non credo proprio” io, restavo sicura delle mie convinzioni.
“Siamo quasi arrivati” la Professoressa Martini si affrettò a dare istruzioni ai suoi alunni “vi prego: formate una fila ordinata e non spingete.”
“Sì, Prof!” rispondemmo all’unisono.
Fermato il bus, nonostante le raccomandazioni del-l’insegnante, apparimmo più una mandria impazzita che studenti delle superiori.
“Per favore, ragazzi!” ripeteva la Professoressa invano.
“Silenzio!” venne spalleggiata dal Professore di Matematica Vitali. Era un uomo alto e robusto, dalla folta barba grigia. Le sue interrogazioni erano il nostro patimento, una discesa rapida verso l’inferno, attraverso domande a tranello e sguardi ferrei. Era l’unico che potesse incutere timore agli studenti e riuscire a ottenere del rispetto. “Se non formate una fila ordinata entro un minuto, sono ben disposto a farvi risalire sul bus!”.
“Qualcuno sa dirmi” tossì la Martini “quali sono le particolarità del portale d’ingresso?”
Alzarono la mano i soliti saputelli.
“Romano” il mio cognome tuonò nell’aria. I compagni si volsero per guardarmi. “Ho notato un interessamento per questo edificio, rendi partecipe l’intera classe.”
Imbarazzata per dover ripetere lì, all’aria aperta, feci un respiro profondo prima di rispondere. “Il portale, realizzato con breccia corallina, pietra calcarea e marmo, così come altri elementi del Castello, ha due statue raffiguranti dei leoni: uno con lo sguardo rivolto verso il sorgere del sole al solstizio d’inverno, l’altro con lo sguardo rivolto nella direzione del sorgere del sole al solstizio d’estate. I gradini sono posti ai lati, in modo tale che chiunque esca non dia le spalle al castello. È interpretata come una forma di rispetto per Federico II.”.
“Esatto” confermò la Professoressa “ma c’è un’altra curiosità: osservando il portale chiuso è possibile notare un particolare. Immaginando di suddividerlo in parti uguali si noteranno due F, una delle impronte lasciate dall’imperatore, non è interessante?”.
“Sì, Professoressa” risposero gli alunni, era evidente il loro disinteressamento.
Fu quando entrai nell’edificio che qualcosa mi turbò. La sensazione di un macigno che gravava sul mio cuore aumentava a ogni passo come se, da un momento all’altro, sarebbe accaduto qualcosa di terribile. (CONTINUA)
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I Racconti di Paolo - Oh! Boh!?

Oh! Boh!?
© Paolo Leonelli


- Senti cosa credi?

- Come?

- Si dico a te!

- A me?

- Si.

- E perché?

- Ma sai, si dice...

- Cosa si dice?

- Ma che cosi e cosi...

- Che?

- Ma dai...

- Ma dai cosa?

- Eh, si dai...

- Ma cosa dici, che vuoi?

- Cavolo, possibile?

- Oh! Ma allora...

- Sul serio, ti dico ora quello che dicono...

- Ma dicono chi?

- Tutti!

- Se... tutti!?

- Davvero, tutti.

- Non è possibile.

- Eh sì!

- Ma porca miseria...

- Eh purtroppo.

- E ora?

- E che ne so io!

- Oh! Boh!?


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L'intervista semiseria

"A proposito di Maximilian ... dialogo intervistato ai due autori ... raccontato da uno dei due"
Cecco (Francesco Martino) - Correva l'anno ....
Peppe (Giuseppe Cristiano) - Che fai parli al passato?
C - No, era per creare l'enfasi.
P - Meglio di no, guarda, noi scrittori del genere fantastico passiamo già per mezzi paranoici, prova un'altro inizio.
C - Vabbeh .... allora ..... una sera di dicembre dello scorso anno ....
P - Ecco, vedi! Così va già bene.
C - Oh che bello ... allora ... dov'ero rimasto ... ah, sì, dicembre dello scorso anno ....
P - L'hai già detto questo ...
C - Lo so ma se non finisco qua andiamo avanti fino alla notte dei tempi.
P - Sono d'accordo con te, vai pure.
C - Avanti fino alla notte dei tempi?
P - Beh, se vuoi, ma posso farti compagnia fino ad un certo tratto ... poi avrei alcune cose da fare.
C - Che fai sfotti? E meno male che l'intervista è dal mio punto di vista.
P - Mmmhhh.....
C - Che c'è, non ti senti bene?
P - No .... fame!
C - Ma se abbiamo mangiato poco fa!
P - Appunto ... ecco perchè ho ancora fame, il ricordo è troppo vicino.
C - Ah .... allora sarò breve, ok?
P - Va bene, vai pure non preoccuparti.
C - E andiamo allora .... dunque l'idea era una delle tante non realizzate che avevi nel cassetto, me la mandasti tra una mail e l'altra ed io te la rimandai con qualche variante che mi era venuta sul momento.
P - Sì, esatto.
C - Poi tu il giorno dopo mi telefonasti dicendomi se me la sentivo di proseguire il progetto a quattro mani, ricordi?
P - Sì, sì, mi ricordo.
C - A gennaio feci il mio primo volo aereo Roma-Stoccolma e ti raggiunsi ed in due giorni buttammo giù il soggetto del primo episodio e le idee di base per i successivi ... e si cominciò da subito a scrivere.
P - Era buona la pasta al tonno che ci preparammo.
C - Ma pensi solo a mangiare ... comunque hai ragione proprio buona, e ci mettemmo anche una scatola di pelati ... anzi no era polpa di pomodoro se non ricordo male.
P - Sì era proprio quella, alla prima occasione dobbiamo rifarla.
C - Eh sì, quando si parla di mangiare mi trovi sempre favorevole.
P - (nessun commento e mano destra a massaggiare lo stomaco).
C - (nessun commento e mano sinistra a massaggiare lo stomaco).
P - Hai già finito?
C - Eh? ... No, no, chiudo subito che è venuta fame anche a me.
P - Ok.
C - Allora per farla breve il primo l'abbiamo già scritto ed il secondo è sulla buona strada, ed intanto si è aggiunta qualche altra idea, previsioni?
P - Mah l'estate è ormai finita quindi non è che ci si deve aspettare chissacchè dal tempo.
C - Che fai sfotti un'altra volta.
P - Ma se mi hai chiesto tu le previsioni?
C - Ecco ... appunto ... sarà la fame ... vabbeh, allora penso che posso chiudere per tutti e due dicendo che la cosa più bella è credere sempre in quel che si fa e se questo viene da comuni passioni è difficile che venga male.
P - Beh, hai detto tutto bene, allora potevi farla da solo l'intervista.
C - E perchè? Secondo te che ho fatto? Vabbeh, dai andiamo a mangiare che mi è venuta nuovamente fame.
P - Ok, ma mi sa che la polpa di pomodoro è finita.
C - Mmmhhh ... c'è l'hai la passata?
P - Sì quella quanta ne vuoi.
C - Allora stiamo a posto ... vai col tango e buon appetito a tutti!