Se siete alla ricerca di un sequel la cui trama è in continua evoluzione e per nulla scontata, allora quel che fa per voi è il nuovo episodio di Resident Evil!
Quarto capitolo di una vicenda che nasce dal fortunato gioco creato dalla CAPCOM e che è fortemente debitore ai mitici zombie cinematografici, ma le analogie con l’infinita saga di George Romero (l’indiscusso “papà” degli zombie cinematografici), a parer mio, finiscono più o meno qua.
Resident Evil narra di come una potentissima multinazionale (la Umbrella Corporation), specializzata nella ricerca genetica, abbia prodotto un virus denominato “T” la cui funzione originale doveva essere quella di correggere tutti i danni che malattie e quant’altro affliggono l’umanità dall’alba dei tempi, oltre che di potenziare le doti fisiche di ogni essere umano.
Beh… tanto per cambiare, come assistito nel primo episodio, il virus si è propagato dal laboratorio madre (l’Alveare), situato nel sottosuolo della città di Raccoon City (una metropoli immaginaria con più di un milione di abitanti) per poi estendersi all’intera popolazione locale e, ovviamente, a quella mondiale.
Ma nemmeno la catastrofe ha fermato la fame di potere dei vertici della Umbrella, i quali, mentre il resto dell’umanità andava “a carte quarantotto”, hanno continuato i loro esperimenti grazie ad altre basi protette da un esercito personale e difese contro tutto e tutti… almeno così credevano.
Il quarto capitolo “Afterlife” comincia con l’assalto della nostra eroina (Alice, la cui interprete, Milla Jovovich, è un fortunato esempio di come un attore/attrice sia in grado di vestire in maniera carismatica i panni del suo personaggio) alla base-laboratorio di Tokio. Qui, a sua insaputa, incontra la sua nemesi: un altro essere umano, un altro Liker, al quale, come a lei, è stato inoculato il virus T ed i cui effetti, dal punto di vista del potenziamento del corpo, delle doti di guarigione e di quelle telecinetiche, sono pari ai suoi. Per contro il virus ha mantenuto un “difetto” peculiare: quello di non garantire lo stesso risultato per ogni ospite. Infatti quel che ha sempre fatto la differenza tra la nostra Alice e gli altri disgraziati esperimenti della Umbrella parte dal fattore sanguigno, ovvero quel qualcosa che rende un individuo su un milione (o su un miliardo) diverso dagli altri. Il virus T su Alice ha attecchito talmente bene da farne, di fatto, l’essere umano geneticamente modificato quasi perfetto, e questa ragione è quanto basta alla Umbrella per darle la caccia fin dalla fine del primo episodio, visti gli inutili tentativi di creare un essere privo di qualsivoglia “rigetto” anche dai suoi cloni. Il primo scontro finisce con un colpo di scena: la base di Tokio viene distrutta ed ambedue gli avversari sfuggono alla morte, ma il “gemello” di Alice riesce ad inocularle degli anticorpi che di fatto distruggono il virus T presente nel suo fattore sanguigno, rendendola di nuovo “umana”.
A questo punto, vedendo la nostra eroina priva di quella “marcia in più” che faceva la differenza, viene da pensare che ormai questo capitolo sia l’epilogo della vicenda.
Niente di più sbagliato!
Per nulla sconfitta, Alice decide di proseguire il suo viaggio verso l’Alaska da dove sembra essere partito un messaggio radio (vedi terzo episodio) che si ripete in automatico sempre sulla stessa frequenza, il quale invita chiunque in ascolto a raggiungere un luogo, Arcadia, dove è stata trovata la cura alla malattia e da dove l’umanità può ripartire da zero. Ma una volta giuntavi scopre che in Alaska non c’è alcunchè, anzi, le tracce ed il ritrovamento di una sua vecchia amica, inizialmente priva della memoria (partita alla fine del terzo episodio con altri sopravvissuti proprio verso Arcadia), la portano a deviare verso Los Angeles, perché è dai suoi dintorni che proviene la fonte del segnale. Giunti sulla città scoprono che uno sparuto gruppo di sopravvissuti è asserragliato nel carcere cittadino mentre tutto intorno a loro decine di migliaia di infetti li assediano. Con un atterraggio sui tetti della prigione al cardiopalma vengono a sapere che la famosa Arcadia è una grande nave cargo al largo di Los Angeles e decidono di raggiungerla. Purtroppo la sicurezza del carcere viene violata da alcuni infetti, i quali riescono a penetrarvi dai sotterranei grazie alla rete fognaria e, “dulcis in fundo”, non manca l’assalto frontale dall’esterno dell’ennesimo liker creato dalla Umbrella, un gigante alto due metri e mezzo (centimetro più, centimetro meno) dotato di un “mattarello” alla sua altezza contro il quale dovrà vedersela la nostra eroina. Alla fine, lasciando la metà dei compagni per strada, Alice ed i sopravvissuti riescono a raggiungere la nave trovando una sorpresa peggiore del male. Il cargo si rivela l’ennesimo laboratorio dove sono custoditi migliaia di esseri umani in fase di sperimentazione e, come se non bastasse, Alice si ritrova davanti il suo avversario di Tokio. Quest’ultimo è, però, allo stadio finale, vittima dello stesso virus T che lo sta ormai sopraffacendo e che vede come ultima possibilità per la sua salvezza quella di “mangiarsi” la sua avversaria. Per necessità di narrazione (e per fortuna) questo non avviene ed il liker viene sconfitto, ma quando tutto sembra finito, quando sul ponte della nave, Alice, la sua amica (che tra parentesi sembra avere le sue stessi doti di risposta al virus T) e colui che si rivela essere il fratello di quest’ultima, insieme a tutti gli altri esperimenti, stanno assaporando l’aria della libertà, ecco giungere decine di elicotteri da combattimento con il marchio della Umbrella Corporation.
L’inizio della fine, la resa dei conti, sembra alle porte. Sarà bello vedere (sperando) che il quinto episodio porti a compimento una storia che dopo una splendida alba (il primo episodio) cui è seguita una bella giornata (i tre successivi), veda anche un indimenticabile tramonto!
Cecco